Uniti, finché governo non ci separi. Sembra la prospettiva dei tre alleati di centrodestra a quasi 72 ore dal voto che potrebbe riportarli a Palazzo Chigi. Nonostante un programma comune e 15 Regioni in cui governano già insieme - come rivendicano in coro - la coalizione si divide ancora, apertamente, sui conti. La distanza maggiore tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia è e resta sullo scostamento di bilancio. Lo invoca e non si rassegna Matteo Salvini. Insiste che «non è la soluzione» Giorgia Meloni. Media Silvio Berlusconi, convinto che sarebbe meglio evitarlo, altrimenti «lo concordiamo con l'Europa». E complici le coincidenze della campagna elettorale più breve che si ricordi, le tre voci quasi si sovrappongono tra le 8 e le 9 di mattina, su radio e tv. Distinguo che ricorrono alla vigilia del ritorno in piazza dei tre leader a Roma, per chiudere la corsa elettorale, tre anni dopo l’ultima foto insieme sul palco di San Giovanni. Un solco li separa pure sulla flat tax. Non solo sulle diverse aliquote della tassa piatta ma soprattutto sulla fattibilità della misura. A fotografare le differenze è Meloni: "Noi oggi partiamo da una flat tax incrementale al 15% su tutto il reddito che si dichiara in più rispetto all’anno precedente, la Lega la propone al 15% e Forza Italia se non sbaglio al 23 - sintetizza a Canale 5 - Ma la nostra è un’introduzione più graduale, visti i saldi di bilancio e le casse dello Stato che non stanno benissimo». E’ proprio lo stato dei conti pubblici a preoccupare di più FdI e frenare le promesse elettorali. Ancora più esplicita è la leader romana che, in un’intervista al Sole 24 ore, ammette: «Siamo consapevoli che potremmo salire su una nave malridotta che punta dritta verso la tempesta». Una cautela che sembra irritare la Lega, soprattutto sul ricorso a un nuovo deficit per coprire il caro bollette: «Chi chiede tempo e dice che si possa aspettare, sbaglia: vale per FdI e per il Pd», denuncia Salvini a Radio24. E avverte: «Sono a rischio chiusura migliaia di imprese e botteghe, è a rischio il sistema produttivo». Ma non cambia idea nemmeno la leader conservatrice: "Lo scostamento del pareggio è un pozzo senza fondo, sono soldi che regaliamo alla speculazione». In alternativa martella sul disaccoppiamento dei costi di gas ed energia» che considera il traguardo. Prudenza che tradisce quasi un atteggiamento da "premier in pectore", nel tentativo di rassicurare dentro e fuori dall’Italia. Del resto gli attacchi dall’estero non mancano: l’ultimo è del settimanale tedesco Stern che le dedica la copertina con il titolo "La donna più pericolosa d’Europa". E nel sottotitolo va giù duro: "La postfascista Giorgia Meloni può vincere le elezioni in Italia con l’aiuto degli amici di Putin. Questo avrebbe conseguenze estreme per noi". Lei però va avanti con la campagna elettorale, a parte un piccolo "giallo" su un blitz nel pomeriggio a Bologna, fuori dall’agenda. All’interno la definiscono solo una «tappa logistica», dopo il comizio di ieri a Palermo, un forum oggi a Roma e domani ancora nella Capitale per la manifestazione in piazza del Popolo. A parte qualche intervista e collegamenti tv dal capoluogo emiliano, Giorgia strappa il tempo per una lezione (a sorpresa) di tortellini da una sfoglina bolognese e poi mette il video su Facebook. Tornando alla politica, sulla prossima squadra di governo rivela: «I nomi li abbiamo, ma non ne diciamo manco mezzo, non voglio dare niente per scontato fino al 25 settembre». Meno diplomatico ma altrettanto ambizioso, è il 'capitanò: «Alcune idee di ministri ce l’ho. Per esempio di agricoltura ce ne siamo occupati con Zaia e Centinaio». Oppure la senatrice Giulia Bongiorno ("Lei la giustizia la rivolta da così a così") oltre a se stesso di nuovo al Viminale su cui non fa mistero da tempo. Nero su bianco nel programma comune ci sono anche le riforme del presidenzialismo e l’autonomia differenziata, ma anche qui le velocità discordano. «L'autonomia avrebbe un impatto migliore se ci fosse anche una riforma presidenziale, perché è un tema di equilibrio tra poteri dello Stato», è l’argomentazione di Meloni, che non ha mai nascosto la priorità e l’attenzione al centralismo. E alcuni interpretano le sue parole come una replica al monito sull'autonomia lanciato dai governatori leghisti domenica a Pontida. In frenata, anche stavolta.