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Fratelli di Alighieri o della “serva Italia“? Un nuovo “gigante“ si fa largo nel pantheon della destra

Gennaro Sangiuliano

Questa proprio ci mancava. Nel pantheon della destra – già non tutto presentabile, non sempre – è stato iscritto a forza, e col ruolo di “padre fondatore”, un gigante di questo Paese. Pardon, di questa Nazione, come piace alla premier. Ri-pardon, come piace al presidente del Consiglio Giorgia Meloni (che nomina sunt consequentia rerum, mica il contrario).

Insomma, abbiamo appreso dal neoministro della Cultura Gennaro Sangiuliano una cosa che davvero ignoravamo (sarà perché il nostro sistema scolastico, come sostengono taluni finlandesi, è caotico e poco educativo?): «Il fondatore del pensiero di destra nel nostro Paese è stato Dante Alighieri, per la sua visione dell'umano e delle relazioni interpersonali e anche per la sua costruzione politica». Che non solo è di destra, ma, aggiunge il ministro, «profondamente di destra». Accidenti.

Poi ha detto una cosa che quelli colti chiamerebbero excusatio non petita: «La destra ha cultura, deve soltanto affermarla». Ah ecco. In effetti, a volte è così ben mimetizzata che non si riesce proprio a vederla. Ma Sangiuliano ha fugato ogni dubbio: anche se non vi sembra a prima vista, e certe esternazioni di ministri e sottosegretari sembrano confermarlo, tranquilli, la cultura di destra c’è, basta solo affermarla. D’altronde – ha detto il ministro, per fortuna non ad un convegno di dantisti ma a una manifestazione di partito (Fratelli di Dante) – , è un pensiero politico che risale addirittura a padre Alighieri. Ricordate le sue fiere invettive per un’Italia (la «serva Italia di dolore ostello») libera e sovrana? Ricordate la sua furia contro gli agitatori di popolo (i populisti di allora), le fazioni in guerra fratricida, la corruzione, l’ingiustizia e le malversazioni? Ecco. Lui non lo sapeva, ma stava fondando la destra. E lasciamole perdere cose tipo Impero e Papato (l’uno giammai sottomesso all’altro), o guelfi e ghibellini, che poi il ministro avrebbe difficoltà, se gli chiedessimo di chiarirci come potrebbero mai combinarsi col sovranismo, il regionalismo e il rifiuto degli universalismi: mutatis mutandis, ovviamente.
E poi, vogliamo mettere la «visione dell’umano» di Dante? Quell’uomo che – aristotelico animale politico – comunque deve realizzare in terra il bene collettivo (ahi ahi). Quell’uomo che il poeta Dante raggiunge anche nel suo punto più basso di peccatore senza redenzione, nel buio dell’Inferno, e pur giudicandolo dannato, ne salva l’umanità, restituendocela con una poesia che non smette di parlarci attraverso i secoli. Tipico della destra più a destra, no?
E già che ci siamo, pensiamo pure alla sua condizione di esule: chissà, magari un Dante richiedente asilo sarebbe stato respinto alle frontiere d’un qualsiasi Paese di destra (pensiamo ai muri di Trump o alle frontiere sigillate della Polonia), o trattenuto settimane a bordo d’una nave. Dopotutto, un «ghibellin fuggiasco» è più o meno come un migrante, no?

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