In diretta su Instagram, Elly Schlein ha tolto un sasso dalla scarpa dei dem. Anzi, un macigno. La segretaria ha annunciato che il suo nome non comparirà nel simbolo del Pd sulle schede elettorali per le europee, perché sarebbe stato «più divisivo che rafforzativo - ha detto - e di divisioni non ne abbiamo bisogno». Pare quindi chiusa una questione che stava spaccando il partito. Pare. Perché il dibattito continua.
Lo schema di massima è quello approvato in direzione: Schlein capolista al Centro e nelle Isole, Stefano Bonaccini al Nord est, Cecilia Strada al Nord ovest e Lucia Annunziata al Sud. Ma siccome le liste ancora non sono chiuse - la scadenza è il primo maggio - per i posti meno in vista qualche sopresa ci può sempre stare. Intanto, la segretaria ha potuto dirsi «felice» per una squadra che ha definito «bella, forte e plurale». Le tensioni per il simbolo sono quindi durate 24 ore, il tempo di una direzione e l’arco di una mattinata. Ma hanno pesato sui rapporti fra la segretaria e la maggioranza nel partito. E hanno allargato le crepe all’interno della minoranza guidata da Stefano Bonaccini. Fra le voci critiche, anche quella della capolista al Sud, Annunziata: in un messaggio alla segretaria aveva spiegato che scrivere Schlein nel simbolo sarebbe stata «la trasformazione del Pd in un partito personale" e lo avrebbe messo «sulla strada dell’accettazione dello stesso modello» del premierato.
Per la verità, anche dopo la diretta Instagram, qualche mugugno c'è stato, specie per la formula usata dalla segretaria, che ha comunque ringraziato «chi ha fatto questa proposta» del suo nome nel simbolo. «Un modo per tirarsi fuori - è stato il commento di un esponente della minoranza del partito - ma nella proposta c'era molto della segretaria, anche se, in quanto presidente, a illustrarla formalmente in direzione è stato Bonaccini». Polemiche su cui Schlein ha sorvolato: «Voglio ringraziare Bonaccini - ha detto - correre insieme alle europee è appassionante, il Pd è una squadra compatta». La sostanza della mossa di Schlein ha convinto i più. «Credo che abbia dimostrato generosità e saggezza, con una decisione che ha tenuto conto di tutte le sensibilità del partito», ha detto il sindaco di Firenze, Dario Nardella, candidato al Centro.
Con l’annuncio della corsa, Schlein ha fatto la prima mossa. In attesa del confronto tv, ora spetta alla presidente del consiglio, Giorgia Meloni, decidere se sarà della partita e con quale formula. Un confronto nelle urne polarizzerebbe lo scontro, un effetto che alle due leader non sembra dispiacere. «Ho la speranza di dare una mano a eleggere il numero più alto possibile» di candidati Pd, ha detto Schlein. «Io ci sarò. Mi candido per provare insieme a portare più in alto possibile il Pd. Mi candido perché è una sfida cruciale. La famiglia socialista è l’unico argine all’avanzata delle destre. Abbiamo bisogno che tutti noi ci mettiamo in corsa». Nella diretta, Schlein ha ringraziato i candidati in lista col Pd, come Nicola Zingaretti, che ha «ceduto alle mie insistenze», ha detto la segretaria, e l’ex direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che per la sua posizione contro l'invio di armi a Kiev ha suscitato più di una perplessità nel partito. «Pur non essendo del Pd - lo ha difeso Schlein - condivide la sfida per un’Europa più solidale, più giusta e di pace». Le liste sono ancora in lavorazione.
E, visto il clima non proprio disteso, i sospetti continuano. Nel pomeriggio, nelle file del Pd c'era chi metteva in conto la possibilità che Schlein possa ancora decidere di correre, in posizioni defilate, anche dove non è capolista. Un’ipotesi che non sembra sia sul tavolo al Nazareno. La segreteria intanto guarda all’8 e 9 giugno: «C'è tanta voglia di cambiamento e di accendere una speranza. Se insieme vinceremo l’alternativa c'è già e c'è da domani».
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