Mentre Matteo Salvini, Luca Zaia e la Lega davano il «benvenuto all’Autonomia», in una festa in provincia di Vicenza davanti a uno sventolare di bandiere della Serenissima, i governatori di centrosinistra hanno lanciato il piano per provare ad allargare il fronte del «no» alla riforma Calderoli. Dalla Sardegna alla Campania, passando per la Puglia, si studia la possibilità di un ricorso alla Corte costituzionale contro la legge appena approvata dal Parlamento, a cui manca la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per entrare in vigore. In parallelo, si complica la via del referendum abrogativo richiesto di cinque Consigli regionali. A breve ne resteranno solo quattro con il centrosinistra in maggioranza, perché quello dell’Emilia-Romagna concluderà di fatto la propria legislatura quando, attorno al 10 luglio, il dem Stefano Bonaccini si dimetterà per approdare al Parlamento europeo. I gruppi della coalizione che sostengono il governatore stanno lavorando a una risoluzione, da presentare la prossima settimana, per schierare l’Emilia-Romagna contro l’Autonomia differenziata e sostenere ogni iniziativa per contrastarla. Se approvato, sarebbe un atto dal valore politico, ma non formale, come quello che invece la Costituzione prevede per la richiesta di un referendum. In alternativa serve la sottoscrizione di 500mila cittadini: la Cgil si sta già mobilitando, assicura il segretario generale Maurizio Landini, e così anche i partiti di opposizione al governo Meloni. Riccardo Magi (+Europa) esorta l'esecutivo ad attivare la piattaforma digitale per la raccolta firme. «Autonomia significa libertà non solo per i veneti ma per tutti gli italiani, è una grande possibilità di correre anche per il Sud - la tesi di Salvini -. Regioni come Calabria e Puglia potranno gestire direttamente le competenze facendo meglio di Roma, incassando di più, lasciando più soldi sul territorio». Il centrosinistra invece vede solo rischi in quella che considera una «legge spacca-Italia». Dalla Sardegna, Alessandra Todde (M5s) propone «un coordinamento con le altre Regioni del Sud» per organizzare le azioni di contrasto alla legge Calderoli, «coinvolgendo anche quelle amministrate da Forza Italia». Nello specifico Calabria e Basilicata, dove le perplessità dei governatori Roberto Occhiuto e Vito Bardi, oltre a creare imbarazzi nel partito e nella maggioranza a Roma, caricano di ulteriore significato politico i ballottaggi in città come Vibo Valentia e Potenza. «Nel mio ruolo di sottosegretaria all’Economia e alle finanze - prova a tranquillizzare l’azzurra Sandra Savino - e anche con la gestione della cabina di regia sui Lep non posso pensare che ci sia qualcuno che resta indietro. È fuori discussione». Anche il governatore toscano Eugenio Giani (Pd) punta su un’azione coordinata delle Regioni verso il referendum. Altri suoi colleghi studiano la possibilità di ricorrere alla Consulta. Per Todde, «aprire la falla di incostituzionalità per la Sardegna è più facile», in quanto a statuto speciale. Si fanno riflessioni giuridiche in Campania e in Puglia. Anche se Michele Emiliano non nasconde le insidie. Il ricorso costituzionale «non è semplicissimo» dovendo dimostrare che le prerogative regionali sono toccate. Inoltre, nota il governatore pugliese, «Calderoli, in maniera dolosa, ha inserito la riforma in un annesso finanziario, di natura fiscale, alla legge di bilancio» ed «è vietato il referendum abrogativo delle norme fiscali». Per Emiliano «la via maestra è politica». E anche De Luca propone una soluzione parlamentare all’opposizione e ai settori della maggioranza preoccupati dall’impatto dell’Autonomia differenziata. «Potremmo evitare referendum e ricorsi» se fossero adottati due correttivi, tutt'altro che piccoli: uno "per vietare a tutte le regioni, del Nord e del Sud, di fare contratti integrativi regionali per sanità e scuola"; l’altro per rendere le risorse per le regioni stanziate dal fondo del Sistema sanitario nazionale «uguali per ogni cittadino».