Scoppia il caso del comunicato "corretto" su Kiev: tensioni Meloni-Salvini nel vertice di centrodestra
Il vertice della «compattezza» finisce fra pasticci comunicativi e sospetti. Dopo tre ore di confronto fra i leader del centrodestra, il comunicato congiunto che sancisce il «rinnovo del patto di coalizione» esce con due versioni. E la differenza riguarda la politica estera, indicata come il primo dei dossier su cui c'è «totale sintonia». La versione «giusta», inviata dallo staff di Giorgia Meloni e da FdI, esprime «condivisione sulla crisi in Medio Oriente e sulla posizione del governo italiano relativamente alla guerra in Ucraina». Nel testo trasmesso ai giornalisti dalla Lega si parla invece di «appoggio a Kiev ma contrari a ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini». Resta nelle chat della comunicazione leghista circa un quarto d’ora, prima di essere rettificato, con l’ufficio stampa del partito di Matteo Salvini che poi si scusa: per «un errore» dovuto alla «fretta» è stata trasmessa «una versione del comunicato che poi è stata modificata. Non era una modifica di contenuto». Giorgia Meloni lascia Palazzo Chigi subito dopo il Consiglio dei ministri, che si è riunito al termine del vertice di maggioranza. Chi ha avuto modo di parlarle assicura che «non le ha certo fatto piacere» questo cortocircuito comunicativo. «Non ci crede nessuno che sia stato un errore, un problema lo crea perché rovina il clima», allarga le braccia un ministro. Denota che qualche sfumatura diversa nel governo c'è, almeno sull'approccio e i toni da tenere. Ma c'è pure chi nella versione leghista, e nel riferimento agli «interventi militari» e quindi non all’uso delle armi fornite dagli alleati, intravede anche implicite riserve sulla strategia di Volodymyr Zelensky, in un momento in cui l’offensiva ucraina punta sulla regione russa di Kursk. Il tutto mentre in Europa si riaccende il dibattito sulle modalità di sostegno a Kiev, e nelle stesse ore nasce la nuova Commissione. Non è forse un caso se nel discorso di Meloni ai ministri non ci siano riferimenti espliciti al conflitto ucraino. «Non c'è nessun tipo di scontro», la precisazione arrivata dall’ufficio stampa leghista mentre montava il giallo: «Per la maggioranza e il governo valgono le dichiarazioni rese ieri dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, secondo cui «l'uso delle armi italiane può avvenire solo all’interno dell’Ucraina». E a un’ora dalla fine del Consiglio dei ministri è arrivata anche una nota di Salvini, secondo cui «il testo (inviato per errore ma subito corretto) è stato modificato in pieno accordo con tutti gli altri leader solo per scelta stilistica e non di contenuto. Si tratta di un semplice errore, non c'è alcun problema 'o caso' nella maggioranza, abbiamo ribadito la linea del governo che la Lega ha sempre sostenuto». «Altro che 'scelta stilistica', caro Salvini - interviene Enrico Borghi di Iv -. La differenza tra lasciare nel comunicato quel passaggio o toglierlo è come quella tra stare sulle posizioni di Orban o su quelle dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e del Regno Unito». Per il dem Piero De Luca è una "ennesima figuraccia del governo sulla politica estera». Il governo «non è più in grado di esprimere una linea unitaria sul diritto dell’Ucraina a difendersi dall’aggressione russa utilizzando le armi, fornite anche dall’Italia, per distruggere le basi di lancio missilistiche dei russi», attacca Osvaldo Napoli, di Azione, secondo cui «ora è più chiaro il senso delle cose scritte e dette nei giorni scorsi dai ministri Crosetto e Tajani». E anche Benedetto Della Vedova (+Europa), critica il ministro degli Esteri: «L'equiparazione dell’uso delle armi date a Kiev su obiettivi in Russia con la guerra a Mosca, è stata comprensibilmente definita 'ridicola' dall’Alto rappresentante Borrell».