«Mi auguro che non accada» il ripetersi di decisioni come quella del Tribunale di Roma, che nei giorni scorsi non ha convalidato il trattenimento dei migranti all’interno del cpr in Albania. Nell’auspicio del guardasigilli Carlo Nordio c'è la ratio con cui il governo ha varato un decreto legge per inserire l’elenco dei Paesi sicuri non più in un decreto interministeriale ma in una norma primaria, che «il giudice non può disapplicare: se la ritiene incostituzionale può fare ricorso alla Consulta». Dall’elenco di 22 Paesi, aggiornato a maggio, vengono eliminati Nigeria, Camerun e Colombia. In attesa del vaglio del Quirinale sul provvedimento, nelle prossime settimane sarà messo alla prova dei fatti l’obiettivo dell’esecutivo. La cui strategia, ha chiarito Giorgia Meloni, resta «difendere i confini» e "ristabilire un principio fondamentale: in Italia si entra solo legalmente, seguendo le norme e le procedure previste».
La puntualizzazione della premier arriva a commento di una operazione che in Calabria ha colpito un traffico di esseri umani. Altri ragionamenti erano attesi nella conferenza stampa sulla manovra, già programmata per il giorno in cui cadono i due anni dal giuramento del governo e annullata alla vigilia. Inevitabilmente nelle domande avrebbe fatto capolino il tema dell’acceso scontro fra governo e magistratura, infiammatosi negli ultimi giorni proprio in seguito alle decisioni del Tribunale di Roma che hanno di fatto svuotato il cpr appena aperto in Albania. «Magistrati politicizzati che vogliono fare opposizione», è la linea della maggioranza. «Finché avremo il sostegno dei cittadini - ha affermato Meloni in un tweet mattutino -, continueremo a lavorare con determinazione, a testa alta, per realizzare il nostro programma e aiutare l’Italia a crescere, diventare forte, credibile e rispettata. Lo dobbiamo agli italiani, a chi ci ha scelto e a chi, pur non avendo votato per noi, spera che facciamo bene il nostro compito. Al lavoro, senza sosta, senza paura».
La giornata fra Palazzo Chigi, Viminale e ministero della Giustizia si è snodata per definire nel massimo riserbo le norme del provvedimento (alla fine si è deciso di escludere quelle sui ricorsi), preannunciato venerdì scorso dalla premier: la "soluzione", il termine usato, per evitare che verdetti come quelli del Tribunale di Roma «impediscano ogni politica migratoria di difesa dei confini». Stando ai provvedimenti del Tribunale di Roma, «il meccanismo dei rimpatri semplicemente non esiste più e dovremmo rendere conto in sede europea del perché non tuteliamo i nostri confini», osserva il sottosegretario Alfredo Mantovano alla fine di una giornata decisamente intensa.
A differenza del solito, il Consiglio dei ministri non è stato preceduto dall’ordine del giorno né da un vero e proprio pre-Cdm. L’approvazione poi è stata piuttosto rapida. La lista dei Paesi sicuri «diventa norma primaria e consente ai giudici di avere un parametro rispetto ad un’ondivaga interpretazione», sintetizza il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, certo che la nuova norma serva a «dirimere un’annosa questione: serve a cercare un’accelerazione della procedura, per fare in modo che il ricorso alla richiesta di protezione non sia per la gran parte strumentalizzato per eludere il sistema delle espulsioni». Nordio, dal canto suo, è convinto che la sentenza della Corte di giustizia europea citata dalle sentenze di Roma, «molto complessa e articolata e anche scritta in francese, probabilmente non è stata ben compresa o ben letta» dai giudici.
Intanto le operazioni di trasporto dei migranti in Albania procederanno e Piantedosi respinge le critiche sui costi, sollevate anche dalle opposizioni, con il M5s che ha presentato un esposto alla Corte dei conti. «Ma quanto ci costa - osserva - distribuire i migranti tutti i giorni da Lampedusa a Pozzallo o Porto Empedocle? E quanto ci costa il sistema di accoglienza? Il Viminale spende ogni anno 1,7 miliardi di euro per dare assistenza a persone che per il 60-70% dei casi sono destinate a vedersi bocciata la domanda di asilo».
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