«La Consulta ha trasformato la legge Calderoli in uno zombie». È il parere del costituzionalista messinese Michele Ainis, che commenta la sentenza della Corte Costituzionale, la quale si è espressa in merito ai ricorsi di quattro regioni sulla legge dell’Autonomia differenziata. «Adesso questo testo formalmente rimane in vigore ma dopo la sentenza della Corte costituzionale risulta amputato delle sue parti essenziali, senza le quali non può operare. Tanto che sono gli stessi giudici a dire che ora dovrà essere il Parlamento a sanare questa nuova situazione», spiega il giurista, per il quale ci sono due punti in particolare da prendere in considerazione: «L'Autonomia va interpretata alla luce dell’intero sistema costituzionale, dove ci sono una serie di princìpi che non possono essere violati, come l’unità, l'uguaglianza dei cittadini nell’esercizio dei loro diritti fondamentali, la salute, la scuola e il lavoro».
Inoltre, e questa è la seconda questione, «il Parlamento non può essere scavalcato» con un decreto, che è espressione di un organo che ha una legittimazione di secondo grado: dunque né con i decreti legislativi (decisi nei Consigli dei ministri) né i Dpcm (in questo caso sono atti ancora inferiori perché individuali, emessi dal presidente del Consiglio). Tutto dipende dalla legittimazione dell’organo che produce i provvedimenti. E la legge Calderoli fa determinare alcune decisioni attraverso atti normativi che hanno valore inferiore rispetto a quelli del Parlamento. Per fare un esempio, è come pretendere che il portiere di uno stabile faccia il mestiere che spetta all’amministratore di condominio».
Anche secondo il costituzionalista Stefano Ceccanti, professore ordinario di Diritto pubblico comparato all’università La Sapienza di Roma, la Consulta «scardina non poche di quelle modalità più discusse» della legge sull'Autonomia. Secondo Ceccanti «ad una prima impressione molto provvisoria i punti più contestati sono stati o direttamente colpiti dalla Corte o indirettamente, in via interpretativa. Si potrebbe quindi pensare che i quesiti dei referendum annunciati per la legge «siano superati e che non si debba votare su di essi. Ma bisogna veder la sentenza definitiva, in particolare per le parti dove vengono formulate interpretazioni per rendere costituzionale il testo». Inoltre, prosegue il costituzionalista, la preoccupazione della Corte è duplice: «Nel rapporto centro-periferia non si può pesare a trasferimenti in blocco che scardinerebbero l’equilibrio solidale, ma solo mirati. Mentre nel rapporto governo-Parlamento bisogna preservare il secondo evitando che deleghe generiche o fonti secondarie ne svuotino il ruolo».
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