Ha scatenato un'accesa polemica una frase infelice pronunciata dal telecronista della Rai Alberto Rimedio durante la partita dei mondiali di calcio tra Belgio e Canada: riferendosi al direttore di gara e ai componenti del VAR ha detto: “L’arbitro è dello Zambia, ci sono tante razze”. Il telecronista, si è poi scusato nel corso della diretta. Purtroppo, però, anche leggendo sui social i commenti di molti utenti i quali, confondendo "razza" con "etnia", definiscono inspiegabile la polemica (causata a loro dire da un "eccesso di politically correct"), si capisce quanto pesi ancora nel nostro Paese quell'antico retaggio che portò alle "leggi razziali" applicate in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana.
La spiegazione dell'istituto Superiore della Sanità
Ecco come l'Iss spiega perché non si può parlare di razze: "Il termine razza è normalmente utilizzato quando si parla di animali. È esperienza comune, ad esempio, rivolgersi al proprietario di un cane per chiedere “di che razza è?” o, in ambito equestre, porre la stessa domanda nei riguardi di un cavallo.
La parola razza sembra derivare dall'antico vocabolo francese haraz, che significa "allevamento di cavalli, deposito di stalloni", da cui è derivato il modo di dire italiano “cavallo di razza”.
Tuttavia, per lungo tempo anche gli esseri umani sono stati suddivisi in “razze” diverse, tenendo conto di differenze fisiche come il colore degli occhi, della pelle e dei capelli.
Con la scoperta del codice genetico che racchiude tutte le informazioni necessarie al funzionamento e allo sviluppo degli esseri umani, il DNA, si pensava che queste diversità visibili a occhio nudo fossero dovute alla presenza di geni (cioè a quei pezzetti di DNA che sono responsabili delle caratteristiche ereditarie, vale a dire trasmesse dai genitori ai figli), differenti nelle diverse “razze”.
Per capire se ciò fosse vero o no, all'inizio degli anni ’70 del Novecento diversi ricercatori, fra cui il genetista statunitense Richard Lewontin, decisero di studiare il DNA di 7 “razze”: i caucasici (gli abitanti affacciati sul Mediterraneo, comprendendo anche i cittadini del Nord Europa); gli africani sub-sahariani (tutta l’Africa ad esclusione degli abitanti del nord Africa); i mongolidi (Asia orientale); le popolazioni del Sud-est asiatico; gli aborigeni australiani; le popolazioni dell’Oceania (oceanici); i nativi delle Americhe (amerindi).
I risultati di questi studi dimostrarono che guardando all'interno del DNA le differenze tra le “razze” sono molto piccole, e che anzi tutte sembrano derivare da uno stesso gruppo di antenati comuni.
Una delle ipotesi più probabili è che questi antenati siano partiti dall'Africa circa 100.000 anni fa e si siano spostati lungo i continenti, dando origine a una discendenza di uomini con caratteristiche fisiche diverse.
Le ricerche di Lewontin furono ripetute più volte da altri studiosi, soprattutto quando, anni dopo, fu possibile avere gli strumenti adatti per studiare il DNA ancora più in dettaglio.
Fu proprio un genetista italiano, Luigi Cavalli-Sforza, che con i suoi collaboratori confermò i risultati precedenti: all'interno del loro DNA le persone appartenenti a “razze” diverse sono molto simili tra loro, e ciò a causa delle frequenti migrazioni che nel corso dei millenni hanno determinato continui “rimescolamenti” dei geni.
Le differenze del colore della pelle, degli occhi e dei capelli, pur essendo le prime caratteristiche che l’occhio umano nota e utilizza per catalogare gli individui, sono dunque poco importanti rispetto al DNA, che è il vero responsabile della struttura e dello sviluppo degli esseri umani.
Riferendosi alla specie umana, si preferisce ormai non parlare più di razze ma di popolazioni o di etnie, intendendo con il termine popolazioni gruppi di individui che occupano un’area geografica precisa e con il termine più gergale etnie gruppi di persone con lingua, tradizioni, cultura, religione, stili di vita comuni e con antenati che, almeno alle origini, abitavano in uno stesso territorio.
Dal punto di vista della salute, le singole popolazioni ed etnie possono avere differenti predisposizioni a soffrire di particolari condizioni patologiche. Ad esempio, negli ipertesi afro-americani gli ACE-inibitori, gli antagonisti dei recettori dell'angiotensina II e i beta-bloccanti risultano meno efficaci e comportano più rischi.
Le nozioni di “razze superiori” e “razze inferiori” all'interno della specie umana, nate nell'Ottocento con la pubblicazione del Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane (1853-55) di Joseph Arthur de Gobineau (1816-82), oltre a essersi rivelate tesi scorrette dal punto di vista dell’evoluzione della specie umana, hanno creato la base e la giustificazione per storiche tragedie.
Il nazismo tedesco e lo sterminio degli ebrei come conseguenza della battaglia per il mantenimento della purezza e l’affermazione della razza ariana, il massacro degli armeni, il razzismo e la discriminazione nei confronti degli uomini di colore in diverse parti del mondo, ne sono esempi.
Nonostante la scienza oggi abbia ampiamente dimostrato l’assenza di differenze tra gli esseri umani, i pregiudizi razziali restano difficili da estirpare e costituiscono un aspetto sui cui la politica, la sanità, la società e la scienza dovrebbero interrogarsi.
Alla comunità scientifica va attribuita una parte di responsabilità, ormai ampiamente documentata, almeno per quel che riguarda alcune generazioni passate, nel non aver saputo rispettare l’obiettività della scienza e diffondere in maniera più incisiva la mancanza di evidenze a sostegno delle differenze tra gli uomini".