Lo smog, in particolare quello causato dalle particelle più sottili, è in grado di indurre danni al sistema nervoso centrale che possono contribuire allo sviluppo della sclerosi laterale amiotrofica (Sla). La conferma arriva da uno studio condotto nell’ambito di Mnesys, progetto di ricerca che si pone l’obiettivo di sviluppare nuovi approcci per le neuroscienze presentato a Napoli «L'associazione tra Sla e particolato atmosferico è stata già rilevata in molti studi epidemiologici», ricorda Tullio Florio, ordinario di Farmacologia all’Università di Genova e coordinatore dello Spoke 6, uno dei sotto-progetti in cui è articolato Mnesys. Grazie alla sua capacità di aggirare la barriera ematoencefalica che protegge il cervello da elementi esterni, «l'esposizione alle polveri sottili può indurre stress ossidativo e neuroinfiammazione con conseguente neurotossicità e deterioramento cognitivo», aggiunge Florio.
Il progetto Mnesys ha ora chiarito in che modo ciò avviene. "Il nostro studio ha esplorato la connessione tra l’esposizione a smog e la Sla indagando alcuni meccanismi molecolari che causano la perdita dei motoneuroni, cioè di tutti quei neuroni localizzati all’interno del sistema nervoso centrale che hanno la funzione di controllare direttamente o indirettamente i muscoli e il loro movimento», spiega Agnese Secondo, professoressa di Farmacologia dell’Università Federico II di Napoli. «Dallo studio è emerso come PM0.1 e NP20, particelle di dimensioni ultrafini e nanometriche, siano in grado di indurre una forma di neurodegenerazione simile alla Sla, caratterizzata dalla disfunzione e disregolazione di proteine essenziali per la sopravvivenza neuronale», prosegue l’esperta. La scoperta, conclude, «sarà utile per l’identificazione di bersagli molecolari verso cui indirizzare nuovi possibili farmaci».
Parallelamente, il progetto si sta concentrando sui meccanismi alla base delle demenze e del Parkinson. Un gruppo di ricerca dell’Università di Firenze sta testando una strategia per rimediare all’alterazione del gene GBA1 che provoca un deficit dell’enzima glucocerebrosidasi (GCase) e, ad oggi, rappresenta il fattore di rischio genetico più comune per lo sviluppo di Parkinson. «La ricerca ha scoperto delle nuove 'stampelle molecolarì, molecole organiche con struttura simile a quella degli zuccheri, in grado di correggere la struttura errata dell’enzima GCase, permettendogli di continuare a svolgere il suo ruolo e rappresentando quindi un promettente nuovo approccio terapeutico per una malattia attualmente orfana di cura», spiega Francesca Cardona, professoressa del Dipartimento di Chimica «Ugo Schiff» dell’Università di Firenze.
Nuove prospettive terapeutiche si aprono anche per la malattia di Alzheimer. Un gruppo di ricerca dell’Università di Parma sta indagando i benefici della modulazione, nel cervello, dei livelli di colesterolo, sostanza essenziale per la salute delle cellule nervose la cui disponibilità, nelle persone con Alzheimer, è limitata da una proteina denominata PCSK9. La ricerca ha dimostrato che «il silenziamento genico di PCSK9 in topi con malattia di Alzheimer ne migliora significativamente le funzioni cognitive e riduce l’accumulo di beta amiloide, lo stesso peptide tossico che si accumula nel cervello dei malati», afferma Franco Bernini, professore ordinario di Farmacologia del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell’Università di Parma. «I risultati ottenuti sono promettenti in quanto aprono la strada allo sviluppo di strategie terapeutiche innovative», conclude Bernini.
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