«Una delle regole me l'ha insegnata Federico Fellini e vi consiglio di tenerla da conto: Non sbagliare mai il tempo di un addio o di un vaffanculo. Aveva ragione». È l'ultimo regalo di Vincenzo Mollica alla sala stampa, ai colleghi che per 39 anni hanno avuto lui come riferimento. Qualche minuto prima aveva ricevuto il tributo del teatro Ariston per la sua pensione (ieri sera il suo ultimo collegamento da Sanremo). Lui, immensa figura del giornalismo italiano, mai banale, mai sciatto, il tempo dell'addio non lo ha sbagliato. Un gigante davanti anche alla malattia.
«Come direbbe Rosario, mi sono “amminchioluto”, mi sono rincoglionito completamente - racconta - con quel po' di vista che mi è rimasta, posso dire che me la cavo abbastanza e mi tolgo dai c... il 29 febbraio perché vado in pensione. Di 'sti tempi ho due compagni di viaggio, mister glaucoma che è un figlio “de na mignotta”, e mister parkinson che mi fa muovere tipo canzone di Celentano anni 60». E infine: «Non ho proclami da fare. Il Tg1 è stata la mia casa. Ringrazio le persone con cui ho lavorato e tutti voi che mi avete sempre accolto con un abbraccio».
Il grazie più bello a Mollica lo regala il giorno dopo il direttore di Rai1 Stefano Coletta che in conferenza stampa gli rende omaggio: «Con lui l'Italia ha conosciuto la serietà e la professionalità del servizio pubblico». E Vincenzo si commuove ancora.
Quando lo incontriamo nel suo studio, pochi minuti dopo, ci sorride di gusto. «Siete della Gazzetta del Sud? Che meraviglia... Voi mi ricordate la mia infanzia, io ho vissuto in Calabria gran parte della mia giovinezza. Leggevo spesso la Gazzetta, fa parte della mia formazione culturale. Nella mia infanzia leggevo la vostra Terza pagina, davvero splendida. Dopo essere tornato dal Canada, sono cresciuto a Motticella, frazione di Bruzzano Zeffirio, vicino alla punta estrema dell'Italia. Ricordo ancora oggi i colori e i profumi di quei luoghi, accattivanti, energici. La Calabria è un posto meraviglioso, non è un caso che in quei luoghi i greci abbiano deciso di cullare la cultura. Ci ho vissuto e spesso ci ritorno. Mio papà era maestro della scuola elementare a Bruzzano, mia mamma maestra d'asilo. Avevano comprato una casa a Scalea, dove spesso andiamo a trascorrere le vacanze. Ci tornerò presto».
Venerdì sera il tributo dell'Ariston. Quanta emozione.
«È stato fantastico. Il mio direttore mi ha fatto scendere in teatro con una scusa, mi aveva detto che mi aspettava Fiorello per una gag. Invece mi sono ritrovato lì con tutti che mi applaudivano. In 39 anni non mi ero mai seduto in platea. Amadeus e Fiorello sono stati davvero carinissimi, così come gli artisti (Sandrelli, Vasco e Benigni) che mi hanno voluto salutare con quel video messaggio. È stato difficile trattenere le emozioni».
Trentanove edizioni del Festival. Questa è l'ultima. Musicalmente cosa si porta a casa Vincenzo Mollica di questa edizione?
«Ci sono delle gran belle canzoni, che sono lo specchio della nostra società e dei nostri tempi. Mi piace moltissimo Tosca, è una canzone che comunica. Mi piacciono i Pinguini Tattici Nucleari perché hanno una grandissima energia e una grande capacità nel dire ciò che sentono e vogliono. E anche le Vibrazioni. Ma in generale questo Festival è stato davvero super».
Merito di...
«Di Amadeus. Guardate non avrei alcun motivo, io sto andando in pensione. Amadeus è stato bravissimo, anzi più bravo degli altri conduttori: è stato capace di trasmettere a tutti un senso di appartenenza incredibile. Tutti quelli che hanno partecipato sentivano la sua vicinanza e di far parte integrante del progetto. E poi Rosario Fiorello, ma avete visto che sketch con Amadeus. Ha vinto la loro amicizia, ha vinto l'autenticità del loro legame. È stata una festa continua».
Tre flash dal passato, tre immagini di Sanremo che si porterà nel cuore.
«Nel 1981, la mia prima volta qui. Vince Alice con “Per Elisa”, chiedo un commento a Gianni Ravera e lui mi risponde: “Sa quando una canzone è bella e vincente? Quando è liberatoria come una pisciata”. La seconda è legata a un ricordo di Adriano Celentano che canta “Il ragazzo della via Gluk”. Canzone straordinaria, di una attualità incredibile. La terza quando in Canada sentì Jose Feliciano cantare “Che sarà”. Ho capito quanto poteva essere protagonista il nostro Paese».
Ora in pensione. Che progetti ha Vincenzo Mollica?
«Aspetterò. Vedremo cosa il destino mi riserverà. Non ho mai messo il carro davanti ai buoi».
C'è un ultimo collegamento da fare. Vincenzo si prepara. «Salutatemi tanto la mia Calabria e Messina... Anzi aspettate... Ti racconto una cosa su Messina. Avevo sei anni quando in Calabria mi diagnosticarono una malattia agli occhi. Un glaucoma, lo chiamano “ladro silente di vista”. Dissero ai miei genitori che avrei perso presto la mia vista. Io capii quello che stava accadendo: da allora ho imparato a memorizzare tutto ciò che mi circonda, dovevo sopravvivere. È stata la mia fortuna. Poi mi portarono a Messina. Incontrai il prof. Scullica, che uomo! Mi salvò. Da allora andavo spesso per le visite. Che mangiate di cozze a Ganzirri! Sento ancora il profumo. Ve lo volevo raccontare, ciao Gazzetta. Salutatemi quelle terre».
Lo faremo maestro. DoReCiakGulp, grazie per il regalo.
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