Sanremo, the week after. Ovvero: tutte (o quasi) le canzoni in gara spalmate qua e là su ogni piattaforma e la top five del Festival sostanzialmente confermata dalle chart. Maneskin, Michielin-Fedez, Colapesce-Dimartino e lo stesso Irama (nonostante un'edizione suo malgrado in contumacia) che in un ordine o nell'altro primeggiano su Fimi, I Tunes, Spotify, Apple Music, Amazon Music...
Dentro le prime venti posizioni, 17 arrivano dalla Riviera. Tra i singoli più venduti Coma_Cose, Annalisa, il premio Mia Martini Willie Peyote, Fasma ed Ermal Meta, il rilancio "Glicine" di Noemi, la forza di "Amare" de La Rappresentante di Lista. La risalita di "Ora" del cosentino Aiello e Lo Stato Sociale, la potenza vocale di Arisa e il "Cuore Amaro" di Gaia, chiude la lista Fulminacci.
Popolazioni musicali diverse, lo stesso verdetto. Ma con un paio di eccezioni.
Ermal Meta... chi l'ha visto? Ma già si intuiva che stavolta Ermal Meta su quel podio era "di troppo". Nel senso che fuori dal "contesto" avrebbe dovuto lasciar posto. Alla "Musica leggerissima" di Colapesce e Dimartino, alla "Voce" freschissima di Madame. Grande scrittura, interpretazione, empatia. Un album che ha debuttato primo nella classifica Fimi. E una carriera che di certo oltrepassa e di molto l'esperienza sanremese. Il suo terzo posto è frutto, soprattutto, del voto demoscopico e di Caruso che ha vinto nel giorno di Lucio Dalla. Una coincidenza benedetta dalla scelta della Napoli Mandolin Orchestra e ribadita dai favori del televoto di tutti quelli per cui è lui il vincitore. Meta ha una gran penna, chiaro. E il suo nome è una bandiera dell'Ariston, vero. Ma, a modo suo, rappresenta il "nuovo passato" (nel senso di classico) di un Sanremo ora come mai proiettato. Sul futuro, già altrove.
La verità è che Sanremo, una settimana dopo è di Colapesce e Dimartino. Incompresi dalla demoscopica (che li ha "bullizzati") e vilipesi dal voto dell'orchestra (13esimi nella serata Cover...Povera Patria!), poi ripresi da sala stampa e televoto, vincono su tutto e tutti. Dai passaggi in radio, alle classifiche di Spotify, I Tunes e nei principali stores, fino al premio EarOne: sono loro i catalizzatori morali nell'onda lunga del Festival, anzi lunghissima. Con un pezzo di citazioni (no, dai...plagio è altra cosa), 3 accordi e per di più minori (anche nel ritornello... e questa è una vera rivoluzione su quel palco), con cui hanno costruito un'architettura di immagini e rimandi, di richiami e sentimenti. Che cresce, destinato a tormentare le sere d'estate, semmai sarà libera e aperta. Già si può immaginare: «metti un po' di musica leggera», tra un drink e quattro chiacchiere, «parole senza mistero» e «voglia di niente» dopo il «silenzio assordante».
E questo apre un altro capitolo. La statuetta al rock nudo dei Maneskin è storica, innegabile. E loro sono stati indimenticabili, per forza e qualità. Ma “Zitti e buoni” probabilmente, tolta la spinta dell'esibizione e della visualizzazione, prima o poi si sgonfierà. E tornerà Marlena.
Effetto Madame. Non è che basti l'età alla giovinezza. Serve la sua purezza scalza, coi capezzoli disegnati e il velo da sposa. Autotune, ma con eleganza. È finita ottava alla fine della fiera, nei meandri di una classifica che quasi l'ha snobbata. Ma fuori da quel “teatro” non è passata inosservata. E, per quanto al momento la questione di followers della coppia Michielin-Fedez regga e in certi casi pure le prevalga... la signora è lei. Morbida, liquida, fluida. Madame: «Mi ricordo di te».
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