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Festival di Sanremo, si parte: tra fede, speranza e gioia... per carità!

Fede, speranza e... gioia. Sono le tre virtù teologali di questo prossimo, imminente (immanente e dirompente, in qualche modo anche prepotente) 72esimo Festival della Canzone Italiana. La fede, tradotta nella fiducia in questo “oltre” natura in cui pandemia e creatività sono state compagne. La speranza che uno show “primario” com’è Sanremo possa colmare quello spazio di disimpegno consapevole, nel quale (perché no?) la leggerezza riporti in superficie la sua certa profondità. E la gioia, un’infusione scanzonata, una sorta di indulgenza planetaria dai mali recenti del mondo, che per il direttore artistico Amadeus è (deve essere, non può non essere) tra i principi fondamentali, inalienabili della politica in programma per questo suo terzo mandato.

E allora cominci questo benedetto Festival

Con la musica nel suo spazio, la vetrina delle radio, i ritornelli furbi che martellano le orecchie (magari nella scia stellata dei Maneskin, che speriamo non offuschi la luce dei loro successori). Col pubblico che si riprende il ruolo di spalla (ancora mascherata) e l’osmosi (ritrovata) tra il palco e la platea.

Pezzi di vita a forma di canzone, lo hanno già rivelato le prove generali

Che ci sarà un incontro di generazioni (e non è detto che, sul campo, giovani e veterani non si scambino le maglie), che la mera esecuzione è un ricordo d'altri tempi, ora che la performance ha il suo peso pesante, specifico, pensato e pensante. Ora che le canzoni hanno un vestito e il loro proprio movimento. Sentiremo pochi arrangiamenti e molti accompagnamenti, qualche stonatura e molta intonazione. Pelle e penne, voci e cori, pensieri, amori. Vedremo sfilate in costumi marcati e spettacolo nudo e crudo.

Il Prima-durante e dopofestival fondersi in un'unica soluzione

Ci aspettano le solite serate che scavallano la notte, le provocazioni attese, le risate inaspettate. Ospiti internazionali targati Italia. Ospiti italiani coi volti “sceneggiati”. Sarà il Festival della messa in scena totale e della realtà più normale. Il Festival irrinunciabile, fosse anche solo per star lì, inchiodati a criticare. Il Festival espositore di una città di nuovo in mano alle persone, di un Paese tra la gente (poca, ma comunque finalmente presente). La sigla d’apertura sarà l’inno, il canto degli italiani, quello che si canta in piedi anche senza sapere le parole, con lo sguardo fiero e la mano sul cuore. Stasera inizia una settimana intera, intensa, sintonizzata su un unico imperativo: improvvisare. Perché è lì che sta il sapore, perché ci sarà chi lo sa fare. Senza autografi, in presenza o da remoto, sarà il Festival del peggio che sembra essere passato.

Bisogna aver fede, speranza e gioia... per carità!

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