Giovedì 26 Dicembre 2024

Diodato, che ritorno! Manca poco a Sanremo, riecco un superbig

Diodato, vincitore 2020

L’ultima immagine di Diodato su quel palco è di lui con la vittoria tra le mani. E chi se lo scorda il rumore che ha fatto poi dentro l’Arena di Verona deserta, tra le sue pietre pietrificanti svuotate dalla pandemia… Era il 16 maggio 2020 quando Antonio è stato il protagonista italiano dell’unico Eurovision possibile in pieno lockdown, l’evento «Europe Shine a Light» in cui ha acceso pure una versione acustica di «Nel blu dipinto di blu», oltre alla speranza che il mondo tornasse alla luce. E ora «si torna al Festival!». Tra qualche giorno sarà di nuovo gara (e sarà la sua terza volta, più una da ospite) per la 74esima edizione di Sanremo. Dentro a quel teatro in cui ha vinto tutti i premi, Antonio Diodato ci torna senza paura, senza l’ansia delle aspettative o peggio, delle conferme. È successo così, che ti carichi e «Ti muovi» (come nel titolo della canzone tutta sua – musica, parole, arrangiamento. La produzione artistica la firma con Tommaso Colliva per Carosello Records – che presenterà all’Ariston). «Pensi sia fatta, credi di aver raggiunto un equilibrio ed è esattamente lì che ricomincia l’instancabile, intensa instabilità». Persino nelle storie personali che gli raccontavano gli amici «quella canzone mi chiamava. Allora mi sono chiuso in casa e ho provato a fermare ciò che mi vibrava dentro. Con la mia tastiera ho cominciato a registrare la parte strumentale degli archi. L’ho sentita crescere. Gli archi sono stati il faro che stavo cercando, hanno portato a conclusione tanto il pezzo quanto l’intero che rappresenta». E la cover per la serata del venerdì? «Amore che vieni amore che vai» è «il mio primo grande amore con De Andrè, mi ha avvicinato alla sua poetica, è stata punto di contatto. Un giorno con la chitarra ho provato a cantarla e ho pensato che quelle parole fossero anche mie. Vocalmente sto da un’altra parte e questo le ha dato nuovo ulteriore significato. Ho spinto, è diventata rock, ripensandoci ho avuto coraggio. Jack (Savoretti, che sarà suo ospite nel duetto, ndr.) è venuto subito fuori. Lui, peraltro genovese e con attitudine simile alla mia, è perfetto per un omaggio a Faber a 25 anni dalla scomparsa». Diodato viene da anni aperti, liberi. La musica come compagna di vita, il mezzo per ampliare confini e visione, per conoscere cose lontane. «Ti muovi» è «figlia di questi anni, della volontà di immergermi in un flusso emozionale che condivido con la band (di musicisti eccezionali). Di cose di me che sono affiorate in maniera inaspettata». Anni di condivisione, di trasformazione (anche estetica), nei quali «canzoni che ho interpretato mille volte nei concerti, che magari nei dischi hanno avuto meno riscontro ma sono state protagoniste nei live, nel tempo sono diventate un racconto diverso di me». Qualche giorno fa alle Officine Meccaniche lui e i suoi hanno deciso di registrarlo questo viaggio. «L’abbiamo fatto come una volta, in presa diretta. Brani editi in versione inedita. C’è anche una versione della stessa “Ti muovi” che uscirà con tutto il resto del lavoro dopo il Festival. È un disco sporco, realizzato in studio ma come un corpo vivo». Intanto nel 2023 è uscito «Così speciale», poi accompagnato da un tour che ha toccato anche Europa, America e Cina. Un album che gli è appena valso il Rockol Award. Il Ciak d’oro invece è arrivato da «La mia terra», miglior canzone originale e colonna vertebrale del film «Palazzina Laf» dell’amico di molte battaglie (su tutte la direzione artistica dell’Uno Maggio Taranto Libero e Pensante) Michele Riondino. Il mito della fondazione di Taranto che si mescola. Gli spartani esiliati come figli illegittimi. I Partheni, la loro odissea, quel «capirai di essere arrivato quando vedrai piovere a ciel sereno». Falanto, che stanco si posò sulla moglie, Etra che pianse. Lui, il capo, che comprese il segnale, scese e fondò. Quando non esiste più differenza tra quello che sei e quello che fai, quando la musica diventa il tuo viaggio e tappe e meta si confondono, i ricordi si conservano. E diventa anche più «bello tornare al pubblico e dire… ecco, oggi sono questa cosa qui».

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