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A Sanremo 2025 Brunori Sas e Cristicchi. Empatia, intensità e classe: gli occhi sui cantautori

Quel qualcosa in più in un cast comunque inclusivo e accattivante

La musica prima di tutto. I cantanti, sospesi tra attesa ed aspettative, su quella sottile linea rossa che separa quello che si spera da quello che poi si realizza. Quanto poco ci si sofferma sull'animo che avrà in cuore ciascuno dei "concorrenti" stasera sul quel palco. Storie di pressioni, aspirazioni, bisogno di dire, necessità di fare.

Tutti, dagli artisti con molti anni di successi a quelli col futuro davanti, appena arrivano là in cima all'Ariston diventano bandiera. Che poi la sventolino le radio, che se ne ammantino gli innamorati di ogni genere, che la issino i delusi, gli esclusi, che duri una notte o resti nella Storia non importa.

Molto si è giocato sul confine tra attesa e aspettative, in questo Sanremo più che in altri. In principio fu il fantasuccessore di Amadeus e la curiosità morbosa intorno alle mosse della Rai. Meglio una scelta audace o una indolore? Certo era suggestiva l'idea di dare spazio ad esempio a qualche giovane che intanto è invecchiato. Ma chi mai se lo sarebbe assunto il rischio di rompere con un passato che negli ultimi cinque anni è stato quel che è stato anziché mettere a Carlo Conti la giacca blu del suo predecessore e dare continuità con un altro «uomo azienda» (naturalmente, comodamente, attraverso il passaggio di consegne tra due figure che in fatto di carriera si sovrappongono parecchio)?

Tra i tanti punti interrogativi («Accetterà? I discografici risponderanno? Che show potrà allestire? Riprenderà da dove aveva interrotto, dal suo primo mandato, quello in cui cominciò la rivoluzione poi cavalcata da Amadeus?») la risposta più importante. Una direzione artistica capace di andare avanti tornando indietro ma non troppo. Creando un altro cast inclusivo e accattivante, farcito di co-conduttori e superospiti. Tornando alla logica separazione tra Big e Giovani e, soprattutto, liberando la serata delle Cover dal peso della classifica, riportandola a quello che deve essere: un momento di spettacolo incondizionato dalla gara.

Ma c'è qualcosa in questo Festival più che in altri. Qualcosa di potente com'è un'arma a doppio taglio. La imbracciano i cantautori nudi e puri, ha a che fare con l'attrazione fatale tra parole e melodia. È il semplicemente bello in tutta la sua complessità. L'istinto d'identificarsi, l'effetto di realtà, la chiamata all'empatia è missione loro.

Oltre a Lucio Corsi (alla seconda esperienza sanremese, la prima reale dopo quella premonitrice con Verdone in «Vita da Carlo»), oltre alle storiche penne che anche quest'anno firmano brani (sempre più brani), i nomi da segnarsi sono due. Il primo è calabrese, è il debutto all'Ariston di Brunori Sas da Cosenza. Il secondo è già negli annali, perché per Simone Cristicchi è un ritorno su quel palco che l'aveva incoronato nel 2017 con «Ti regalerò una rosa». Entrambi raccontano vibrazioni di famiglia, di figli che diventano padri in tutti i modi, di cuori che s'allargano e tempi che si dilatano. Di versi che feriscono in versi che fioriscono.

Oggi che comincia il Festival in fondo qualcosa già finisce. Termina l'attesa, resta l'ultima delle aspettative, che in questa settimana sia Sanremo l'inno nazionale. Che Sanremo anche quest'anno lo canti «Tutta l'Italia».

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