
Probabilmente mangiare la peperonata prima di accomodarci sul divano de IlMaxFactor non è stata una buona idea. Ce ne siamo resi conto quando, nella fase Rem della terza serata del Festival – che per noi, una volta che si è esibito Brunori Sas, aveva detto tutto ciò che aveva da dire – abbiamo sognato i Duran Duran con Victoria dei Maneskin che suonavano i Talking Heads (voto 1984, ma quello di Orwell). Una specie di falla nel continuum tempo-spazio come in Ritorno al futuro, un incubo lisergico dal quale ci siamo ripresi solo quando è stata resa nota la cinquina dei più votati da radio e pubblico, dove resta saldamente installato Brunori (voto niente, meglio televoto) che ieri, secondo noi, ha ulteriormente aumentato le sue chances di podio con un’esibizione migliore rispetto alla prima serata e soprattutto con un brano che, ascolto dopo ascolto, continua a entrarti sottopelle e a imporsi per grazia e sincerità. Gli applausi dell’Ariston durante la canzone e l’ovazione alla fine lo testimoniano. E chissenefrega se la strofa somiglia a Rimmel.
Pochi, pochissimi i “picchi” in una terza serata in cui il malvagio Carlo Conti (voto 6,5) ha definitivamente svelato il suo piano diabolico: finire sempre in orario come i treni quando c’era LVI, non solo come omaggio a chi sapete voi ma soprattutto per prendere il posto di Salvini come ministro dei Trasporti. Tanto l’erede l’abbiamo già trovato, è il piccolo Samuele Parodi (voto 11 come i suoi anni), figlio dell’attrice catanese di Don Matteo Marica Coco e talmente ferrato sulla storia del Festival che già l’anno prossimo può condurre o male che vada, con un paio di baffi finti, fare Marino Bartoletti. Il problema del Sanremo carlocontiano è che senza monologhi e con così poco spazio ai co-conduttori, o sei un genio cialtrone come Frassica – osannato sui social dopo una seconda serata da mattatore – o scompari: così accade al trio tutto al femminile composto da Miriam Leone, Elettra Lamborghini e Katia Follesa (voto 6, magari mezzo punto in più a Katia che pure la telenovela tratta da Sposerò Simon Le Bon poteva risparmiarcela), relegato a un ruolo di puro contorno con isolate scenette non sempre riuscite.
Un po’ di casino (più o meno) organizzato in uno show fin troppo asettico, fortunatamente, lo portano gli attori con disabilità del Teatro Patologico dell’attore e regista Dario D’Ambrosi, che presto porterà alle Nazioni Unite la richiesta di riconoscimento ufficiale della teatroterapia (voto unanime). E visto che non per niente siamo a “I migliori anni”, l’apertura della serata è un tuffo al cuore: Edoardo Bennato (voto 78 come i suoi anni suonati, nel vero senso della parola) canta Sono solo canzonette, il brano che 45 anni fa dominò le classifiche trascinando l’album omonimo a un successo immediato incredibile (arrivò a vendere un milione di copie insieme all’altro LP Uffà Uffà, uscito a sorpresa un mese prima) cui però negli anni non è seguito il giusto riconoscimento come il capolavoro che è, senza dubbio uno dei migliori della musica italiana di sempre. Ecco, diciamo che lo abbiamo preferito a Iva Zanicchi (voto cento! cento!)...
Ma parliamo un po’ di Brunori, visto che lo stiamo trascurando: Darione nostro è ufficialmente tra i primi cinque secondo la sala stampa e tra i primi dieci secondo radio e televoto, nel frattempo imperversa sui social e nelle interviste in tv, in Calabria si organizzano pacchetti di voti che neanche alle Regionali (nota di merito ai geni della pagina Lo Statale Jonico e ai post “Il codice per votare Olly è lo 02”, “Il codice per votare Sarah Toscano è lo 02”, “Il codice per far andare via i Duran Duran è lo 02”, che ovviamente era il codice di Brunori: voto 02), e in più a mezzanotte è uscito ufficialmente l’album L’albero delle noci, il sesto del cantautore cosentino e il primo a quattro anni da Cip! Disco molto atteso e che probabilmente segnerà il suo salto definitivo tra i “grandi”, tra i cantautori generazionali, quelli in grado di parlare a tutti e di durare oltre l’effimero di un Festival di Sanremo. È l’ultimo, meritato passaggio di un percorso coerente che lo ha visto prima fenomeno indie, poi interprete maturo della nostra società e delle sue contraddizioni: d’altra parte, al di là del facile paragone con De Gregori (che entrambi, a quanto ha dichiarato, non riconoscono), il modello di Brunori è chiaramente Lucio Dalla, con la sua capacità di essere insieme “alto” e popolare.
Non è un caso che qualche anno fa abbia registrato per Sky Arte Com’è profondo il mare nello straordinario scenario della Chiesa dello Spasimo a Palermo, e non è un caso che la cover che canterà stasera con Riccardo Sinigaglia e con l’amico Dimartino sia L’anno che verrà. “Abbiamo scelto un pezzo d’élite”, ha ironizzato. Noi siamo certi che sarà un momento emozionante. E come diceva IlMarxFactor, “Brunoriani di tutto il mondo, unitevi”!
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