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Brunori Sas ha portato la calabresità senza snaturarsi. Grazie a Dario l'Italia conosce scirubette, vurziceddre, magare e la gioia di cantare

No, non è stata un'operazione simpatia. Perché chi conosce realmente Brunori Sas, che ha vissuto con lui gli anni d'oro del Tirreno cosentino o del tifo organizzato a tinte rossoblù, sa che Dario è così: sincero, diretto, gioioso. Ma soprattutto orgogliosamente radicato alla propria terra, in un mondo che fa a gara ad alzare le maschere per apparire impeccabile. Nel trucco, nel parrucco e anche nella dizione. Lui, Dario, alle maschere preferisce i girasoli, come quelle che stanno popolando San Fili in questi giorni, dopo che sono stati tirati giù i veli dal video abbinato a “L'albero delle noci”. Girasoli dappertutto, anche nel teatro comunale sanfilese che ha seguito la finale del Festival e impazzisce - letteralmente - quando sul maxischermo compare Brunori Sas vestito di tutto punto. Uno strappo alla sua regola della naturalezza (e ci mancherebbe altro), che nei giorni precedenti gli ha permesso di portare in mezzo alla gente di Sanremo termini come vurziceddre, magare - che proteggono dall'affascino - , scirubette - quel miele che si fonde alla neve - e tanta voglia di farsi cingere dalla chitarra e strimpellare per le vie liguri come se fossero traverse di corso Telesio. Ecco perché Brunori Sas ha vinto comunque: perché ha portato un'immagine pulita della cosentinità e della calabresità, rispedendo al mittente formalismi e stereotipi. Come quando, a chi gli ha portato la 'nduja, con il sorriso ha fatto notare che oltre ai salumi e ai prodotti tipici c'è di più. Ma molto, molto di più. E dopo questa settimana di folle gioia lo ha capito anche chi non lo conosceva Dario da San Fili, da Guardia Piemontese, da Cosenza, dalla Calabria. E dall'Italia intera.

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