I delitti contro gli affetti, oggi sempre più frequenti, evidenziano una patologia nei legami familiari che come un cancro sembra contaminare il contesto sociale più vasto. Le violenze nei confronti delle categorie più deboli e indifese sono in aumento, e la sicurezza degli anziani, nelle case di accoglienza, per strada, nelle loro stesse abitazioni, è in serio pericolo. Eppure mai come adesso il ruolo dei nonni si rivela prezioso, tanto a livello di sostegno economico, quanto nella funzione di catalizzatori dei legami familiari, sempre più deboli e meno duraturi.
Oggi, giornata dedicata ai nonni, accantoniamo il nostro egocentrismo per riflettere su un aspetto importante del legame con le precedenti generazioni, quello inerente l'esercizio della “cura”. Il termine, riferito ai rapporti affettivi, indica infatti l'azione del prendersi carico di una persona che si ama per migliorarne il tenore di vita, tanto fisico che psicologico. I genitori sono i primi agenti di cura, perché assumono il compito di promuovere la crescita e la formazione dei figli, mettendoli così nelle condizioni di essere a loro volta capaci di esercitarla, una volta raggiunta l'età adulta.
La cura infatti non riguarda solo il contesto familiare, ma include altri tipi di rapporti come quelli di lavoro e d' amicizia; così come le azioni di volontariato e le professionalità basate su una relazione d'aiuto, tra cui il medico, lo psicologico, l'insegnante, che non possono essere esercitate adeguatamente se manca o è carente quella “base sicura” che plasma l'attitudine terapeutica del soggetto.
Esiste infatti una circolarità nell'esercizio dell'accudimento che parte dalla madre e si espande ad altri contesti di vita, ove ciascuno di noi diventa, in relazione alle circostanze, ora soggetto (care giver), ora oggetto (care elicitor) di cura, fino al giorno in cui, raggiunta la fase della maturità avanzata, si diventa esclusivamenete fruitori del sostegno altrui. È quello il momento in cui prende forma una specifica modalità di supporto fisico e psicologico chiamato “cura della riconoscenza”, che nell'ambito della famiglia patriarcale aveva carattere di sacralità e imprescindibilità; mentre oggi risulta sempre più vuota di significato.
La cura della riconoscenza, infatti, si basa sul principio che il farsi carico dell'anziano è un dovere morale di tutti coloro che in passato hanno ricevuto affetto e sostegno da parte sua. Il concetto di riconoscenza elimina nei fatti il pregiudizio del vecchietto debole e dipendente, restituendogli dignità ed autorevolezza in virtù di tutto ciò che ha dato agli altri nel corso della sua vita, come bene materiale, morale e affettivo.
Il rispetto diventa così un sentimento strettamente connesso alla gratitudine, non una concessione da parte di chi, facendosi carico della cura, si considera quasi un benefattore.
La diversa costellazione dei rapporti nelle famiglie attuali comporta però che spesso il compito dell'accudimento venga svolto da soggetti non appartenenti alla stretta cerchia parentale, inseriti nel contesto in virtù di un contratto di lavoro. La cura, in questi casi, da dovere morale si trasforma in esercizio professionale, perdendo la connotazione di scambio affettivo basato sul sentimento della riconoscenza.
La delega ad estranei non esime tuttavia i consanguinei dal manifestare la loro gratitudine attraverso comportamenti che attestino riverenza e affetto, comunque primari rispetto al solo accudimento fisico, in quanto direttamente connessi alla condivisione di un passato in comune, ad una storia familiare di cui le nuove generazioni dei nipoti devono sentirsi parte. E ciò può accadere solo se i nonni rimangono costantemente destinatari di cura da parte di chi in passato ha usufruito del loro supporto e dei loro sacrifici.
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