Nella categoria del nostro sentire quotidiano Antonio de Curtis è l'universo della tristezza interiore non rappresentata per confondere con le risate le due anime sue, la storia minima dell'uomo di fronte ai caporali, la sfida della malinconia nascosta dai lazzi snodabili, il fiato sempre semiserio della vita come unica spiegazione, la spettacolare scaletta dei pensieri comici alternanti, l'immensità del genio ridens prestato a puntate, le fasi alterne del collettivo disincanto insanabile. Il suo linguaggio oramai divenuto parte di noi tutti rispecchia l'intera semiseria esistenza oltrecinematografica, tanto grande è stato il troppo spesso vilipeso celluloide di cui si lamentava. Una scena ricordo a voi. Quando sulle scale dell'androne di una Roma fangosa ancora ferita dalla guerra fotografata in "Guardie e ladri", lui signor Esposito piccolo reo di copertoni in disuso, false monete antiche, espedienti bonari e patacche d'orologi, ormai catturato senza scampo da Fabrizi guardia Bottoni troppo umano inseguitore, con il sorriso ormai prigioniero per tutti i suoi simili si danna della sorte e della inspiegabile affannosa ricerca. In quel lamento amaro il suo volto ferito dalle circostanze avverse è come l'intera nostra umana categoria. Antonio De Curtis (il cui nome completo era Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno di Bisanzio De Curtis Gagliardi), in arte Totò, nacque nel cuore di Napoli (rione Sanità) dalla relazione clandestina tra Anna Clemente e il marchese Giuseppe De Curtis. Esattamente il 15 febbraio 1898, esattamente 123 anni fa. Fin da piccolo manifestò una particolare attitudine alla recitazione, ispirandosi ai tipi umani osservati nel mondo reale. Verso la metà degli anni Venti si avvicina al Varieté, sfoggiando il suo innato talento, esaltato dal suo profilo asimmetrico che si era ritrovato in seguito a un pugno involontario ricevuto durante gli anni del collegio. Con l'avanspettacolo e la Rivista degli anni Trenta raggiunse la celebrità, aprendosi la strada al cinema. In trent'anni ha interpretato circa 100 film, conquistando un primato (tuttora imbattuto) di oltre 270 milioni di spettatori. Una storia inaugurata dall'esordio di "Fermo con le mani!" (1937), passata attraverso capolavori di comicità, quali "Totò, Peppino e la malafemmina" (1956) e "Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi" (1960), e conclusa dal filone drammatico, cui appartiene il pasoliniano Uccellacci e uccellini (1966). Morì a Roma, il 15 aprile 1967, stroncato da una serie improvvisa di tre infarti. Una folla oceanica ne accolse il feretro a Napoli in occasione dei funerali.