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Domenica il giudice Rosario Livatino sarà beato. Le parole di Papa Francesco

Quando, il 21 settembre 1990, il giudice Rosario Livatino fu ucciso dalla mafia quasi non lo conosceva nessuno, ad eccezione dei suoi aguzzini: lavorava al Tribunale di Agrigento e trascorreva le sue giornate tra polverosi fascicoli, occupandosi prevalentemente di sequestri e confische di beni sottratti ai mafiosi. Questo valse la sua condanna a morte decretata dagli uomini della Stidda, organizzazione mafiosa agrigentina, quattro dei quali poi condannati all’ergastolo. Ma quel delitto avvenne anche «in odio alla fede» del magistrato - hanno stabilito le autorità vaticane - per cui, riconosciuto il martirio, il giudice Livatino, cattolico praticante, sarà proclamato beato. Il decreto della Congregazione delle Cause dei Santi, avuta l’autorizzazione di papa Francesco, è stato pubblicato il 22 dicembre dello scorso anno.

La cerimonia di beatificazione si svolgerà domenica prossima, 9 maggio, nella cattedrale di Agrigento e sarà presieduto dal cardinale dal cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. La data non è casuale: nel 1993, proprio il 9 maggio, Giovanni Paolo Secondo, nella Valle dei Templi, rivolse il suo invito perentorio ai mafiosi: «Convertitevi! una volta verrà il giudizio di Dio!». Livatino - «il giudice ragazzino», come è stato ribattezzato dopo la morte - fu ucciso lungo la statale che ogni mattina percorreva in auto da Canicattì - dove viveva con i genitori - al tribunale di Agrigento.

Aveva rifiutato la scorta: implorò i "picciotti" assassini di fargli salva la vita, per tutta risposta ricevette in viso il colpo di grazia. Per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro - i mafiosi lo definivano, con spregio, «santocchio» proprio per la sua frequentazione della Chiesa - fu avviata la causa per elevarlo agli altari. Nel decreto sul martirio è scritto che Livatino era ritenuto inavvicinabile dei suoi persecutori, "irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante. Dalle testimonianze, anche del mandante dell’omicidio, e dai documenti processuali, emerge che l'avversione nei suoi confronti era inequivocabilmente riconducibile all’odium fidei (odio della fede)», al punto che, inizialmente, i mandanti avevano pianificato l’agguato «dinanzi alla chiesa in cui quotidianamente il magistrato faceva la visita al Santissimo Sacramento».

Di Livatino resta anche una impronta di forte attualità di impegno civile riguardo, ad esempio, ad alcune riflessioni su chi è chiamato ad amministrare la giustizia e sul dovere di non piegare la legge ad interesse di parte. E ancora del rapporto tra magistrati e politica. Parlando nel 1984 ad un convegno sul ruolo del giudice, disse: «Sarebbe sommamente opportuno che i giudici rinunciassero a partecipare alle competizioni elettorali in veste di candidato o, qualora ritengano che il seggio in Parlamento superi di molto in prestigio, potere ed importanza l'ufficio del giudice, effettuassero una irrevocabile scelta, bruciandosi tutti i vascelli alle spalle, con le dimissioni definitive dall’ordine giudiziario». Fede e lavoro appaiono un tutt'uno in un altro scritto del "giudice ragazzino», del 1986: «Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio».

Papa Francesco, parlando il 29 novembre 2019 ai componenti del Centro Studi «Rosario Livatino», ha definito il magistrato "un esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi; e di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l'obbedienza allo Stato, in particolare con il ministero, delicato e importante, di far rispettare e applicare la legge». Dopo l’omicidio di Livatino, gli investigatori impiegarono mesi per decodificare l’acronimo «S.T.D.», riportato su appunti, documenti e quaderni del magistrato e inizialmente scambiato per un codice segreto. Alla fine si scoprì che si trattava di un constante affidamento che Livatino faceva a Dio: le tre lettere stavano per «Sub Tutela Dei» (sotto la protezione del Signore"), principio ispiratore della sua vita e segno di una spiritualità profonda.

Livatino nelle parole di Papa Francesco

«"Picciotti, che cosa vi ho fatto?", riuscì a domandare, prima che il suo viso da Gesù bambino, come lo definì un suo amico, fosse deturpato dai proiettili».
Inizia con queste parole il profilo che traccia di Rosario Livatino, beato della Chiesa dal 9 maggio prossimo, Papa Francesco.
Il Pontefice ha scritto, in vista della beatificazione, la prefazione al libro «Rosario Angelo Livatino. Dal 'martirio a seccò al martirio di sangue» di Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro. «Erano le parole di un profeta morente, che dava voce alla lamentazione di un giusto che sapeva di non meritare quella morte ingiusta. Parole che gridavano contro gli Erodi del nostro tempo, quelli che, non guardando in faccia all’innocenza, arruolano perfino gli adolescenti per farli diventare killer spietati in missioni di morte», scrive il Papa, «Grido di dolore e al tempo stesso di verità, che con la sua forza annienta gli eserciti mafiosi, svelando delle mafie in ogni forma l’intrinseca negazione del Vangelo, a dispetto della secolare ostentazione di santini, di statue sacre costrette ad inchini irriguardosi, di religiosità sbandierata quanto negata».

«Per questo, ripensando alla figura del magistrato siciliano, ribadisco quanto espressi già nella Sala Clementina il 29 Novembre 2019: Livatino è un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni. L’attualità di Rosario Livatino è sorprendente, perchè coglie i segni di quel che sarebbe emerso con maggiore evidenza nei decenni seguenti, non soltanto in Italia, cioè la giustificazione dello sconfinamento del giudice in ambiti non propri, soprattutto nelle materie dei cosiddetti nuovi diritti, con sentenze che sembrano preoccupate di esaudire desideri sempre nuovi, disancorati da ogni limite oggettivo.

Fede che diviene prassi di giustizia e che perciò fa del bene al prossimo: ecco le caratteristiche spirituali di Rosario Angelo Livatino», prosegue.
Il giudice «pensava, fin da laureato in diritto, al modo migliore di svolgere il ruolo di giudice. Soffriva molto nelle pronunce penali nei confronti degli imputati, perchè constatava come la libertà, male interpretata, avesse infranto la regola della giustizia. E nello stesso momento in cui doveva giudicare secondo legge, si poneva da cristiano il problema del perdono. Compiendo quotidianamente un atto di affidamento totale e generoso a Dio, egli è un luminoso punto di riferimento per gli uomini e le donne di oggi e di domani, soprattutto per i giovani che, tuttora, vengono irretiti dalle sirene mafiose per una vita di violenza, di corruzione, di sopraffazione e di morte».

La sua «testimonianza martiriale di fede e giustizia sia seme di concordia e di pace sociale, sia emblema della necessità di sentirci ed essere fratelli tutti, e non rivali o nemici», scrive ancora Bergoglio, «visitando Agrigento e altri luoghi della Sicilia, nel 1993, il mio santo predecessore Giovanni Paolo II così si espresse alla fine dell’Eucaristia celebrata nella Valle dei templi: «Che sia concordia in questa vostra terra! Concordia senza morti, senza assassinati, senza paure, senza minacce, senza vittime! Che sia concordia! Questa concordia, questa pace a cui aspira ogni popolo e ogni persona umana e ogni famiglia! Dopo tanti tempi di sofferenze avete finalmente un diritto a vivere nella pace».
«Questi che sono colpevoli di disturbare questa pace, questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: «Non uccidere": non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!».

«Il buon odore di Cristo che si spande dal corpo martirizzato del giovane giudice diventi allora seme di rinascita - come già avvenuto per alcuni dei suoi sicari e mandanti, oggi sulla via della penitenza e della conversione - per tutti noi, in particolare per coloro che ancora vivono situazioni di violenza, guerre, attentati, persecuzioni per motivi etnici o religiosi, e vari soprusi contro la dignità umana», conclude Francesco, «A Rosario Angelo Livatino, oggi anche attraverso la sua beatificazione, rendiamo grazie per l’esempio che ci lascia, per aver combattuto ogni giorno la buona battaglia della fede con umiltà, mitezza e misericordia. Sempre e soltanto nel nome di Cristo, senza mai abbandonare la fede e la giustizia, neppure nell’imminenza del rischio di morte.E' questo il seme piantato, è questo il frutto che verrà».

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