Lunedì 23 Dicembre 2024

Cassazione: "Amo un'altra" non basta per piantare la moglie

 Nessuno si sogni di abbandonare la casa coniugale e volare a vivere con un nuovo partner spinto dalle ali del «sentimento» lasciando su due piedi la famiglia e uscendo dalla casa coniugale senza starci a pensare, senza presentare nemmeno una domanda giudiziale di separazione. Per la Cassazione un nuovo «innamoramento» non giustifica un bel niente, e per uscire di casa senza conseguenze - come l’addebito nell’aver determinato la fine del matrimonio - occorre almeno scrivere al giudice che la convivenza con il marito/moglie è diventata insostenibile per la reazione scatenata dalla confessione di palpitare per un’altra persona. Altrimenti squagliarsela dicendo di aver finalmente trovato «la storia della mia vita» integra «per legge la violazione dell’obbligo di coabitazione» tra coniugi, violazione dalla quale non può «non conseguire l’addebito della separazione». Così gli "ermellini" hanno accolto il ricorso di una moglie piantata in asso, nonostante «una perfetta unione materiale e spirituale», una mattina di maggio del 2010 quando il consorte - con il quale aveva in comune anche due figli e una farmacia - le disse «di essersi innamorato di un’altra donna": «è la storia della mia vita, voglio separarmi», le parole dell’abbandono. I giudici di merito avevano escluso ogni addebito e avevano stabilito l’affido congiunto dei figli, con obbligo del padre di versare per loro 1.200 euro al mese e 700 per la moglie. Ma era stata esclusa la "colpa" del marito fuggiasco: secondo i giudici toscani, del Tribunale di Pistoia in prima battuta e poi della Corte di Appello di Firenze, era chiaro che «la prosecuzione della convivenza materiale fosse divenuta difficile da sopportare per entrambi i coniugi e comunque inidonea a far venir meno la frattura del rapporto coniugale». Insomma, era chiaro che «dopo l’esternazione» confessoria fatta da Carlo alla incredula e sgomenta Alessandra si doveva "presumere che a quel punto» non c'era più nulla da fare, solo "la presa d’atto dei coniugi della situazione di crisi» della loro unione. Ad avviso della Cassazione questo ragionamento è sbagliato e si fonda su «una mera supposizione». La decisione di non procedere con l’addebito, scrive la Suprema Corte, «non si è basata su un dato di fatto certo, idoneo a comprovare che l'abbandono della casa coniugale da parte del marito - «il quale non aveva confessato neppure l’esistenza di una relazione extraconiugale già in atto, bensì solo di nutrire un sentimento affettivo verso un’altra donna» - «sia stato determinato dal comportamento della moglie, anche in reazione a tale confessione». Ora la Corte fiorentina deve tornare sui suoi passi e non usare più il «sentimento» come un "liberi tutti".

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