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Revenge porn, fari su l'aberrante crimine sessuale. In un anno 82 casi in Sicilia e 26 in Calabria

Il revenge porn, definito anche “pornografia non consensuale” o “abuso sessuale tramite immagini”, consiste nella condivisione (sia online che off-line) di foto o video in pose intime di una persona senza la  sua approvazione.

Che lo si definisca “revenge porn” o in italiano “pornovendetta”, come suggerisce l’Accademia della Crusca,  c’è una forma di  violenza che cancella i già impalpabili confini tra mondo “reale” e spazi virtuali, provocando sofferenze e danni interiori equiparabili a quelli di uno stupro.  Un aberrante crimine sessuale sempre più diffuso in Italia e che, secondo i dati diffusi dalla Polizia di Stato,   vede la Sicilia al secondo posto (dopo la Lombardia)   tra le regioni italiane per numero di casi: 82 tra il 9 agosto 2019 e l’8 agosto 2020, per il 75% a discapito di vittime di sesso femminile.   La Calabria è undicesima con 26 episodi in un anno (le persone “perseguitate” per l’87% sono donne).

Cos’è il revenge porn?

Il revenge porn, definito anche “pornografia non consensuale” o “abuso sessuale tramite immagini”, consiste nella condivisione (sia online che off-line) di foto o video in pose intime di una persona senza la  sua approvazione.  Dal periodo di lockdown in poi, anche  in Italia si è registrato un preoccupante incremento  di casi probabilmente   a causa della diffusione capillare dell’uso di strumenti come Zoom o Skype, principali “scene del delitto” per questo genere di abusi.

Le immagini o i video vengono pubblicati o inviati a familiari, amici e colleghi del malcapitato con lo scopo di umiliare e infamare la persona che si vuole colpire. E per questo i contenuti frequentemente sono corredati dalle informazioni necessarie a  identificare la vittima, dal nome ai recapiti dell’abitazione e del posto di lavoro, fino ai link dei profili social.

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Gravi conseguenze psicologiche

Gli psicologi, prima americani e poi europei, già da diversi anni ribadiscono quanto sia allarmante il fenomeno della “pornovendetta”. La persona presa di mira, secondo gli esperti, spesso dopo l’aggressione “digitale” non riesce a rimarginare la lesione della propria immagine e della propria dignità, finendo con l’essere  ostacolata nei  rapporti sociali e sul lavoro.   Uno stato d’animo misto di angoscia, ansia,  attacchi di panico e depressione che, in casi estremi, può portare al suicidio.

I numeri del “Codice rosso”

Dal 9 agosto 2019 è entrata in vigore in Italia  una legge specifica contro la diffusione illecita di materiale intimo. Il “revenge porn” finalmente è fra i  reati introdotti nella giurisprudenza italiana con il pacchetto “Codice rosso” e prevede la reclusione da uno a sei anni e una multa, da 5mila a 15mila euro. Nei primi 12 mesi di applicazione, secondo i dati diffusi dal ministero della Giustizia, sono 1.083 i procedimenti iscritti per la “pornovendetta”, a una media di tre al giorno, e in 121 casi è già stata intrapresa un’azione penale nei confronti dei presunti responsabili. E c’è un primo bilancio di 8 sentenze emesse:  2 condanne con rito abbreviato, 3 patteggiamenti, 1 condanna in tribunale e 2 proscioglimenti.

Come difendersi dal revenge porn

La Polizia di Stato suggerisce di denunciare immediatamente ogni episodio, perché “solo un intervento tempestivo può evitare l’ulteriore divulgazione delle foto o del video. Proprio per garantire un efficace intervento, all’interno della Polizia Postale operano squadre di poliziotti specializzati nel contrasto di questi fenomeni, esperti soprattutto nell’ambito delle piattaforme di social network e messaggistica”.

Su questa pagina online è possibile segnalare eventuali violazioni,

Ecco  il video sul revenge porn pubblicato dalla Polizia postale

 

La sfida di PermessoNegato al revenge porn

Dal novembre del 2019 l’associazione no-profit PermessoNegato, fondata e presieduta da Matteo Flora,  schiera un team di esperti di tecnologia, cybersecurity, legali e criminologi, per sviluppare e impiegare strumenti digitali e strategie adatte a frenare la proliferazione della “pornografia non consensuale” e di altre forme di violenza e odio online. In pratica l’obiettivo è quello di identificare, segnalare e soprattutto rimuovere  immagini e video incriminati dalle principali piattaforme online (in un anno si è arrivati a eliminare circa 3.500.000 contenuti).

Diverse piattaforme e social network come Facebook, con il quale PermessoNegato collabora in un progetto pilota per contrastare le “pornovendette”,  rispondono più o meno celermente alle segnalazioni, cancellando i contenuti   intimi. Ma ciò non avviene per le richieste inviate  a Twitter e a gran parte dei siti che consentono la condivisione di materiale video pornografico.

Tra tutti, però, chi risulta meno pronto ad assecondare  le segnalazioni è Telegram, servizio di messaggistica istantanea offerto dall’omonima società con sede a Dubai, fondata dall'imprenditore russo Pavel Durov.  “C’è la scelta politica di non fare niente – spiega Matteo Flora - per accaparrarsi quote di mercato bloccando il meno possibile”.

Su questo, ma anche sul “porn deep fake” (fotomontaggi condivisi su Telegram di persone ignare “spogliate” in modo altamente realistico da un sofisticato algoritmo)  il Garante della Privacy ha garantito l’avvio di un’istruttoria.

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