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Il filosofo Byung-Chul Han: "Il vaccino è tutela, non controllo. Lo smartphone è prigione digitale"

«Oggi qualcuno pensa che lo Stato usi i vaccini o il Green pass per controllare i cittadini o privarli della loro libertà. Ma in democrazia lo Stato ha il mandato di proteggere i suoi cittadini e di salvarli da una morte inutile. I vaccini sono una tutela, non uno strumento per discriminare. E, lo ripeto, lo Stato e la politica hanno il compito di proteggerci. Non dovremmo mai dimenticarlo, pur restando vigili». Il monito arriva diretto dal filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, considerato uno dei pensatori imprescindibili dei nostri tempi, ieri sera nel pieno della sua seguitissima Lectio magistralis alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, dal titolo I non-oggetti: l'informatizzazione del mondo reale.

Tradotto in più di 30 paesi, con le sue opere La società della stanchezza e Topologia della violenza, fino al più recente La scomparsa dei riti, Byung-Chul Han è tra i filosofi contemporanei che più hanno approfondito le grandi patologie e le complessità del presente e sul tema è tornato ancora nell’incontro organizzato da Andrea Colamedici e Maura Gancitano di Tlon, realizzato in collaborazione con la Scuola Holden di Torino e la casa editrice Nottetempo. Un excursus lungo due ore ("per la verità ci vuole tempo e poi io non dormo mai prima delle sei di mattina, posso andare avanti ancora un bel po' «dice sorridendo), in cui tra, riflessioni e citazioni che mettono insieme Platone e Orwell, Flaubert, la serie tv coreana Squid Game e Giovenale, anticipa anche il tema del suo prossimo lavoro. "E' la mia terza lectio a Roma, ma questo è sicuramente il più bel salone nel quale abbia mai parlato», esordisce lui, da cinque settimane ospite dell’Accademia tedesca a Villa Massimo. "Ho passeggiato per un’ora e mezzo in questa galleria», prosegue, descrivendo la commozione e lo spavento di ritrovarsi improvvisamente a tu per tu con Il capanno di Jourdan di Cezanne qui esposto e così spesso «nei miei pensieri e nei miei scritti».

«Se osservo le persone assorte davanti alle opere d’arte - racconta - mi convinco sempre più che il fine ultimo di tutti gli sforzi umani sia l’osservare, la nullafacenza, la vita contemplativa, che ripaga tutti nostri sforzi. In questi giorni sto scrivendo un libro proprio sull'inattività, quasi una controparte alla Vita Activa di Hannah Arendt. Non per contrasto, ma per controbattere a questa urgenza di agire che caratterizzava la Arendt». Poi, partendo dall’Isola dei senza memoria di Yoko Ogai (ed. Il saggiatore), si addentra nell’analisi di quella che lui definisce la nuova società dell"infomania», dove «le cose nascono per essere gestite, non per essere amate» e che continua a produrre non oggetti ma «infomat», dalla smart car allo smart bed.

«Lo smartphone - dice - non è altro che una prigione digitale all’interno della quale vi siete fatti rinchiudere in maniera volontaria. Ormai, è un oggetto devozionale, come un rosario, di un regime neo liberale che non ci rende conformi ma dipendenti». Un regime che «vuole comprarci, è permissivo. Un potere intelligente, in cui il soggetto pensa di essere libero, ma che invece orienta la volontà a suo favore». Poi l’appello, più volte ripetuto, ad aprire gli occhi. «Io ho fiducia nello Stato e nella scienza e non vedo nel vaccino una forma di dominazione - dice Byung-Chul Han - È un mezzo per raggiungere un obbiettivo: proteggere i cittadini da malattie e morti inutili. Non è una forma di dominio. Voglio sottolinearlo».

Sotto accusa, piuttosto, il «dominio smart dei colossi digitali», il «capitalismo della sorveglianza» che non è facile da contrastare «perché non reprime la libertà, ma la sfrutta». Un sorriso lo strappa in quella che noi chiameremmo la teoria del Nomen Omen, ovvero il proprio destino nel nome. «Il mio - dice Byung-Chul Han - vuole dire Luce chiara e in coreano la filosofia è la scienza della luce. È mio mandato cercare di portare luce nel mondo. Zuckerberg, invece», prosegue citando il cognome del fondatore di Facebook, «in tedesco vuol dire montagna di zucchero». Poi guarda al domani: «La pandemia - sottolinea - ha dato il colpo mortale all’esperienza della presenza. Ma le informazioni non ci rendono felici. È la presenza, l’esserci che ci riesce». Insomma, attenzione, perché siamo alla nascita dell’"Homo Phone-sapiens, che crede di essere libero, ma la sua libertà è solo nelle dita».

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