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“Zona bianca” fa discutere, ma è sbagliato censurare il “male”

Sergey Lavrov

Il caso del momento, inutile negarlo, è l'intervista a Lavrov trasmessa da “Zona bianca” domenica scorsa su Rete 4 e realizzata dal giornalista pugliese Giuseppe Brindisi. Un'intervista che ha fatto il giro del mondo per i contenuti deliranti espressi dal ministro degli Esteri russo, che ha disvelato tutti i suoi pregiudizi razzisti e antisemiti in una sequela di squallidi luoghi comuni che sembravano prelevati dai protocolli dei Savi di Sion.

Le proteste sono iniziate fin dalla tarda notte di domenica e non si sono ancora placate. Comprensibile l’indignazione delle istituzioni dell'ebraismo mondiale, come lo Yad Vashem o il Centro Simon Wiesenthal, ma anche del governo israeliano. In Italia ha espresso il proprio disappunto anche Noemi Di Segni, Presidente dell’Ucei. Tutti hanno duramente criticato le dichiarazioni di Lavrov e, inevitabilmente, si è scatenata anche una canea politica su come sia stata condotta l'intervista; secondo alcuni critici, Brindisi non avrebbe sufficientemente contrastato l'esponente russo durante il lungo colloquio, rendendo il tutto un monologo più che un dialogo.

Questo tipo di interviste a personaggi controversi hanno da sempre suscitato dibattiti accesi con il conseguente massiccio intervento della politica. Sono le classiche situazioni in cui un'intera nazione si trasforma in una sorta di CT, un commissario tecnico dell'informazione, indicando ai giornalisti cosa devono fare o non devono fare. Successe con l’intervista di Bruno Vespa a Totò Riina o ai Casamonica, che vennero ospitati nei prestigiosi studi di “Porta a porta”. Succedeva quasi settimanalmente con le puntate dedicate alla mafia di “Samarcanda” e “Annozero” di Santoro che, puntualmente, alimentavano il dibattito nella politica e nel giornalismo sull'opportunità o no di affrontare certi temi.

Insomma, è assolutamente fisiologico che in una situazione di guerra una simile operazione mediatica finisca nella contrapposizione politica e nell’occhio del ciclone mediatico. Al netto delle critiche, però, Brindisi ha incassato importanti consensi da tutto l'arco costituzionale del centrodestra, in primis da Antonio Tajani, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Pesantissimi invece gli attacchi del centrosinistra, compresa Italia Viva, i cui esponenti sono stati in questi anni ospiti molto assidui di tutte le trasmissioni Mediaset. Ha messo il carico anche il premier Mario Draghi, che ha parlato di mancanza di professionalità e di un comizio del politico russo; un messaggio forse più rivolto all'editore che non al giornalista che conduceva il programma.

Guardando i dati Auditel l'operazione sembra comunque perfettamente riuscita: la trasmissione ha raggiunto uno dei suoi record storici, con una media di share del 7%, riuscendo ad agguantare la concorrenza di Massimo Giletti su La7, cosa nella quale nessuno sperava. Ma è totalmente escluso che Mediaset abbia ospitato l'intervista per questo. Non si fa un'operazione così importante, mettendoci la faccia, con motivazioni di marketing.

Qui c'è un ragionamento giornalistico a monte, sul fatto che l’intervista a Lavrov fosse una notizia o meno. Ovviamente la risposta è che sì, la notizia c'era tutta ma è anche vero che le critiche sono legittime. Per chiudere questa mia rubrica lancio una provocazione: anche noi nel nostro piccolo su questo giornale abbiamo realizzato interviste controverse a Piromalli e a tanti altri esponenti della criminalità organizzata e, anche in quei casi, sono scaturiti dibattiti sui social sull’opportunità o meno di intervistarli. Ma noi non abbiamo mai avuto dubbi.

Il compito di un giornalista non è solo quello di copiare le carte giudiziarie e di amplificare gli avvisi di garanzia. Se vogliamo raccontare il male dobbiamo anche guardarlo in faccia e registrare qual è il suo punto di vista, aberrante, sul mondo. Non a tutti piace, molti vorrebbero delle scelte più “ovattate”, ma continuiamo a pensare che questo sia uno dei modi più efficaci per raccontare la realtà.

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