La vertigine dei flutti opposti davanti alla sabbia fina e alla pietre levigate dal tempo è il posto più bello d’Italia per lanciare lo sguardo appresso ai mari che si scambiano d’acqua continuamente e alle montagne che lo abbracciano da lontano. Lo abbiamo a vista d’occhio ogni giorno e non ci accorgiamo della sua meraviglia, ce lo dicono gli altri e sbigottiamo come sorpresi. Capo Peloro con la sua vecchia giraffa elettrica di ferro biancorosso, il pilone, un tempo dispensatore di energia, è un luogo dov’è realmente possibile perdersi a guardare il mare ruotare, nei gorghi infiniti, completamente e indistintamente. Dalla spiaggia si misura l’universo come fosse una porta che la Natura ci ha donato, e quasi non sappiamo d’avere.
Non è solo d’estate che s’apre allo sguardo. Anche d’inverno, quando batte forte il vento disperdendo sabbia, con i colori che cambiano d’ora in ora sempre meno folgoranti di sole, è ugualmente degna di stupore la vista in solitaria, in un silenzio quasi irreale che ascolta soltanto il rumore delle acque passanti. I vortici sono impressionanti, e se da una barca si vedono meglio anche dalla riva si possono in parte respirare. È la fame di ninfa Cariddi, figlia di Poseidone e Gea, punita e gettata per sempre in queste nostre acque. Ciò che invece succede è l’innalzarsi e abbassarsi delle soglie sottomarine, fino a quasi centro metri, tra punta Pezzo in Calabria e Capo Peloro in Sicilia: quando nel Tirreno a nord c’è alta marea, nello Ionio a Sud c’è la bassa marea. E il continuo alternarsi di alte e basse maree origina dei flussi e reflussi che generano violenti spostamenti d’acqua con vortici, i “refoli”. Ma noi la chiamiamo anche “a rema”. Nel corso dei secoli andati, a decine i viaggiatori hanno scritto su Messina e il suo Stretto, depositando tra veritiere parole l’anima di una città meravigliosa fino all’altroieri e troppo grigia oggigiorno. Pochi conoscono la luce ch’è stata, molti dovrebbero invece saperlo per rendere la conoscenza uno strumento di rinascita.
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