Lunedì 23 Dicembre 2024

Rita Atria, "la settima vittima di via D’Amelio”. Giovanna Cucè: "Non è ancora un capitolo chiuso"

Ci sono ancora punti da chiarire sulla morte di Rita Atria che, a soli 17 anni, si è lanciata da una finestra di un appartamento a Roma. Si è tolta la vita ad una settimana dall’attentato al giudice Paolo Borsellino su cui aveva posto tutta la sua fiducia diventando testimone di giustizia. È quanto emerge dal libro inchiesta “Io sono Rita: la settima vittima di via D’Amelio” scritto da Giovanna Cucè, messinese, giornalista, caposervizio Cronaca del Tg1 e già collaboratrice di Gazzetta del Sud e Rtp, Nadia Furnari, co-fondatrice dell’associazione antimafie Rita Atria e Graziella Proto, operatrice dell’informazione. Il libro è stato presentato nel suggestivo giardino di villa Cianciafara a Zafferia. È stata l’occasione per ripercorrere la tragica vicenda di una ragazza, nata in una famiglia mafiosa a Partanna, diventata testimone di giustizia ancora minorenne ma anche per fare alcune riflessioni su mafia, antimafia e per ricordare chi ha perso la vita per mano mafiosa. «È un libro che ti tira per i capelli, fa capire il dramma di questa ragazza che viveva in una famiglia mafiosa e che aveva trovato in Borsellino una sorta di padre adottivo del quale si fidava, un libro che fa conoscere anche l’ambiente particolare della Valle del Belice post terremoto», ha detto Lino Morgante, direttore editoriale di Gazzetta del Sud, dialogando con Giovanna Cucè e Nadia Furnari e con Emanuele Crescenti, procuratore di Palmi. La conversazione è stata intervallata dalla lettura di brani del libro curata da Sabrina Sciabà. «Abbiamo fatto solo il nostro lavoro, ogni riga del libro è documentata da atti e verbali», ha esordito Giovanna Cucè, spiegando la lunga operazione di ricerca e verifica attraverso testimonianze dell’epoca, verbali, atti giudiziari e perfino atti su cui il ministero dell’Interno ha tolto il segreto dopo 30 anni. Un lavoro certosino che ha portato anche a scoprire un nastro con la voce di Matteo Messina Denaro durante un interrogatorio prima di darsi alla latitanza diventando per tutti un fantasma. «Rita comincia a collaborare che ha appena compiuto 17 anni – ricorda la giornalista – era una minore che doveva essere tutelata». La mancanza di una protezione adeguata, ma anche le numerose perplessità su come all’epoca furono condotti gli accertamenti e alcuni particolari come una tapparella della finestra dell’appartamento, abbassata per metà, hanno portato l’associazione a chiedere la riapertura delle indagini alla Procura di Roma. «Quella non è stata un’indagine ma un’ammogghiamento, bisognava costruire l’ennesima storia su un fascicolo basata sul vuoto pneumatico», dice Nadia Furnari che lamenta come all’epoca la vicenda sia stata sottovalutata «declassata al suicidio di una ragazza figlia e sorella di mafiosi. Nella storia di Rita – aggiunge Furnari – prima facevamo memoria senza vedere le carte, adesso abbiamo voluto tutti gli atti». Il procuratore Crescenti ha spiegato dal punto di vista tecnico la difficoltà di un’indagine a distanza di 30 anni, ricordando anche il contesto dell’epoca: «Dobbiamo calarci nella realtà del 1992, quando in Sicilia saltavano le autostrade per ammazzare i magistrati. Qui ci troviamo di fronte ad una testimone di giustizia che era una ragazza di 17 anni trasferita da Partanna arriva a Roma. Adesso è facile dire che andava controllata e supportata, ma nel 1992 abbiamo avuto una serie di episodi particolari, non dimentichiamo le problematiche sulla gestione dei collaboratori che ci sono state anche a Messina, è un mondo che è cambiato, oggi sono certo che su un suicidio di una testimone di giustizia ci sarebbe un’attenzione diversa». La storia di Rita Atria non è un capitolo chiuso, ci sono ancora pagine che devono essere scritte, come conferma Giovanna Cucè: «Siamo in possesso di altro materiale e ci sono atti che ancora sono coperti da segreto».

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