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L'aborto farmacologico? Non nei consultori

La legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza «non si tocca», continua a ripetere la ministra della Famiglia Eugenia Roccella, fiera anti-abortista. D’altro canto la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo ha ripetuto più volte. A rendere complicato l’accesso all’aborto in Italia, però, non è la minaccia di un cambiamento della norma: è la sua mancata applicazione. L’Italia ha un cronico problema di obiezione di coscienza di ginecologi e anestesisti: secondo l’ultima relazione ministeriale sulla 194, si rifiuta di praticare aborti il 69% dei ginecologi e il 47% degli anestesisti. E l’accesso all’aborto farmacologico, possibile entro le 9 settimane di gestazione, non è affatto semplice. «La RU486 è una delle testimonianze dell’arretratezza di questo Paese», dice Lisa Canitano, ginecologa romana che si batte da sempre per la difesa della 194.

«I francesi e il resto del mondo la usano da 30 anni. In Francia la danno anche i medici di medicina generale che si abilitano per farlo. In Inghilterra si fa anche in telematico, è cominciata con il Covid, ma ora si continua in quella direzione. Si parla con la donna, decidendo insieme a lei se fare un’ecografia preliminare o no. Noi invece l’abbiamo recepita chiedendo 3 giorni di ricovero», dice. Dopo la battaglia per la sperimentazione iniziata nel 2005 dal ginecologo Silvio Viale a Torino e dai radicali, la RU486 viene commercializzata in Italia il 10 dicembre 2009: l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) autorizza la commercializzazione del mifepristone, ma con l’obbligo di ricovero e da fare entro la settima settimana di amenorrea, con modalità tendenzialmente più restrittive. Solo nell’agosto del 2020 arrivano le nuove linee di indirizzo, emanate dall’allora ministro Roberto Speranza: l'aborto farmacologico viene consentito fino alla nona settimana anche in regime ambulatoriale e nei consultori familiari.

Ma oggi sono solo due le regioni che distribuiscono la RU486 nei consultori (e solo in alcuni): il Lazio e l’Emilia Romagna. "L'IVG farmacologica è regolata da linee di indirizzo e non è offerta in uguale maniera alle donne nelle varie regioni», spiega all’ANSA Anna Pompili, ginecologa di AMICA, Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto. A livello regionale è la Toscana la prima regione a definire in un protocollo la somministrazione ambulatoriale, extra ospedaliera della pillola abortiva, seguita nel 2021 dal Lazio. In quest’ultima regione l'RU486 viene distribuita sperimentalmente in 6 consultori a Roma e provincia.

L’altra regione in cui effettivamente si può accedere all’IVG farmacologica in regime ambulatoriale e in consultorio è l’Emilia Romagna. Per ora solo a Parma, poi sarà possibile anche a Modena, Carpi, Ravenna e Cattolica, ma solo entro la settima settimana e con entrambe le pillole prese in ambulatorio o consultorio. Il riferimento alla settimana non è peregrino perché una donna si accorge di essere incinta mediamente 5 settimane dall’ultima mestruazione, il protocollo della 194 prevede una settimana di riflessione dopo la richiesta di interruzione: il tempo è evidentemente molto limitato. Nonostante le difficoltà, la diffusione dell’aborto farmacologico è aumentata notevolmente tra il 2020 e il 2021, nell’anno del covid: tra le regioni che hanno inviato all’ANSA i dati dell’IVG del 2021 si nota un deciso aumento dell’utilizzo dell’aborto farmacologico, con punte del 71,5% della Provincia Autonoma di Trento.

Ecco la percentuale di RU486 sul totale delle interruzioni di gravidanza nei due anni:

                                     2020                   2021
Abruzzo________15%________40%
Campania_______23%________33%
Puglia_________ 39%________50%
Toscana________46%________56,9%
P.A.Trento_____ 55,4%______ 71,5%

Contraccezione gratis per legge solo in 5 regioni

Il problema non è il costo, «è la distribuzione della pillola": così rispondeva l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, il 28 settembre ad una studentessa che le diceva di andarsene dalla manifestazione per l’aborto libero e gratuito. «Non è un problema per chi se la può pagare! Per i giovani, per chi i soldi non ce li ha e vive nelle case popolari il problema c'è, solo che a voi non interessa», replicava la giovane in un video diventato virale che ha riportato l’attenzione su una legge italiana, vecchia quanto la 194 e che prevedeva proprio la pillola gratuita. Si tratta della 405 che nel 1975 ha istituito i consultori familiari «a partire da esperienze nate in tutta Italia dalle organizzazioni femminili, con una grande spinta che viene raccolta da Stato e sanità pubblica e porta a questa novità di strutture socio sanitarie che legano l’aspetto sociale a quello sanitario», ricorda Anna Pompili, ginecologa dell’associazione AMiCA. La legge prevede che «i mezzi per il controllo delle nascite vengano distribuiti gratuitamente nei consultori», continua Pompili. Tutte le regioni hanno poi «approvato leggi attuative», ma nei fatti «quell'articolo non è mai stato attuato: ci sono solo alcune regioni che forniscono gratuitamente i contraccettivi a fasce cosiddette deboli della popolazione». Giovani, con limiti di età variabile, donne in difficoltà economiche, per un periodo di tempo limitato, dopo un parto o dopo un aborto.

Nei mesi scorsi Potere al popolo ha portato avanti un’inchiesta sulla contraccezione gratuita a Roma. «Abbiamo chiamato una trentina di consultori della capitale: tutte le operatrici - quando siamo riuscite a farci rispondere - hanno detto che la legge 405 non viene applicata. Anche perché la regione non ci passa la contraccezione», racconta all’ANSA Giulia Calò di Potere al popolo e OSA, Opposizione studentesca d’alternativa, studentessa del liceo linguistico. È proprio lei la 17enne, che assieme all’amica Valeria, il 28 ottobre scorso aveva contestato a Roma, nel corso della manifestazione per l'aborto libero, sicuro e gratuito la deputata dem Laura Boldrini. L’accusa al Pd era di aver reso costosa la pillola contraccettiva. Il riferimento è a quanto accaduto nel 2016, durante il governo di Matteo Renzi, quando al ministero della Salute c'era Beatrice Lorenzin, con la decisione di far passare dalla fascia A (mutuabili) a quella C (a pagamento) i contraccettivi. Decisione che però, ricorda oggi Pompili, era stata presa dall’Agenzia italiana del farmaco.

«E comunque la gratuità non era legata alla contraccezione», spiega. «Non lo è mai stata. Era legata ad alcune patologie ginecologiche. Il punto è sempre lo stesso: non è la cattiveria di aver fatto marcia indietro sulla gratuità dei contraccettivi. È piuttosto il fatto che semplicemente non è cambiato nulla: i contraccettivi non sono gratuiti perché sono considerati una questione privata». Attualmente le regioni che permettono ad alcune categorie di accedere alla concezione gratuita tramite i consultori sono solo queste: Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Puglia, assiema alla Provincia autonoma di Trento.

Nel Lazio la norma è in via di definizione, mentre ci sono alcune regioni come Piemonte, Liguria e Veneto dove sono state approvate piani sociosanitari per implementare la legge 405/75 anche nella parte della contraccezione, ma non sono state mai applicate. Neanche i consultori - istituiti con la stessa legge - comunque sembrano passarsela bene oggi in Italia, anzi il quadro è andato deteriorandosi negli anni. Nel 1993 era disponibile un consultorio familiare ogni 20 mila residenti: il livello stabilito dalla legge 34/1996. Nel 2008 ne risultava uno ogni 28 mila. Ora il numero è diminuito ancora: ce n'è uno ogni 32.325 residenti, per un totale di circa 1.800 consultori familiari, secondo quanto emerge dall’Indagine nazionale sui consultori familiari 2018-2019 pubblicata dall’Istituto Superiore di Sanità. Tradotto: i consultori sono il 60% in meno di quanti ne servirebbero e «vengono picconati ogni giorno», affonda Lisa Canitano. Solo due Regioni - Valle d’Aosta e Basilicata - e una Provincia autonoma, quella di Bolzano, hanno un consultorio per un numero medio di residenti compreso entro i 20 mila.

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