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"Festa" della donna? Ora passiamo velocemente al 9 marzo...

Come tutto ciò che alimenta il dibattito, anche l’8 marzo è una preziosa occasione, ecumenica e decifrabile. Di confronto e incontro, tra il florilegio di eventi e l'esercizio di fantasia pura che ad alcuni di essi si accosta, con corollari commerciali - più o meno opinabili - in salsa vegetale. Ma via, un sorriso e un fiore non si rifiutano mai.

Il problema sorge il 15 gennaio, o il 18 aprile o il 24 giugno. O il 25 novembre. E in tutte le altre giornate ferite dall’inadeguatezza del termine "festa". Tra violenze, soprusi, discriminazioni, soffitti di cristallo, body shaming, revenge porn.

Se la notizia è una news, cioè qualcosa di nuovo che si ritiene "di particolare importanza ai fini dell'interpretazione di fatti contingenti", davvero nell'8 marzo e in quel che vi ruota intorno non c'è proprio nulla di ciò. Nessuna novità, nessuno scoop. Che le donne abbiano intelletto, coraggio, intuito, sensibilità, capacità e meriti è indubbio, e noto da millenni. Che - forse proprio in ragione di ciò - siano state nei millenni mortificate da schemi sociali unilaterali e dalle varie mele dell'Eden è altrettanto noto. Che abbiano dovuto lottare e lottino tutt'ora per essere riconosciute - persino nella sintassi - è conclamato. Che ormai la narrazione sia cambiata è però altrettanto evidente, rispondendo ad esigenze gender fluid assestate ben oltre i confini di quel rigido schema binario, pure talvolta ancora alieno a chi comunque oltre l'asse "uomo-donna", in ordine di priorità, non riesce proprio ad andare.

Chi vuol esser lieto, sia. Oggi, e sempre. Ascoltiamo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le cui parole rendono questo giorno accettabile, anzi "necessario". Parliamo, incontriamoci, tra sorrisi in ufficio, cortei, aperitivi, convegni in un giorno all'insegna della suprema "impari opportunità" verso i poveri maschi, che non godono - ma prima o poi qualcuno la reclamerà - di una “Giornata internazionale dell’uomo”, con ingressi gratuiti, gadget e sconti alla cassa.

Passiamo però velocemente avanti: alla scuola della parità - o, meglio, dell'equilibrio - di genere, al welfare (asili nido, flessibilità, incentivi, equità salariale) nel lavoro, tragico spartiacque dopo la formazione scolastico-accademica che vede le donne primeggiare. Superiamo serenamente le "quote rosa" a suon di merito e competenza, che non hanno genere. Ed ecco, l'8 marzo sarà diventato il 9.

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