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Autismo, quando accanto all'Io sboccia il senso del Noi

Un segno intenso, e significativo, del sentire che cambia. “We love New York” è il nuovo claim identificativo non solo di una città, ma di un mito, un luogo iconico della mente e del cuore, un ecosistema unico, multiforme, baricentrico, avanguardista. E un semplice cambio di pronome, da “I”, io, a “WE”, noi, diventa il trionfo globale di una conquista sociale, il senso del Noi che si sostituisce a quello dell'Io.

L'egocentrismo cavalcato nel secolo scorso che lascia il posto ad una dimensione completamente differente, di solidarietà, inclusione, accoglienza, comunanza, come chiarito dal consorzio di società Partnership for New York City che ha lanciato la campagna di modifica del logo, nato nel 1976 per ragioni commerciali (fu inventato dal grafico Milton Glaser per promuovere il turismo ed è di proprietà dello Stato di New York) e divenuto tra i più noti al mondo nell'acronimo con le iniziali e il cuore al centro, con un posto al MoMa, il Museum of Modern Art.

Un nuovo messaggio volto quindi a "superare le divisioni e la negatività", un sentire differente, nato dalle ceneri dello sconvolgimento relazionale causato dalla pandemia e oggi cardine della ricomposizione di nuovi equilibri sociali, in bilico tra l'individualismo patologico di una digitalizzazione esasperata dei rapporti, e la ricerca di un'umanità in sintonia crescente sui concetti di diversità, equità e inclusione, ai quali la comunità internazionale s'ispira sempre più nel celebrare con un sottofondo comune successi, sfide e personaggi.

Un bisogno di condivisione, conforto, comprensione, empatia che tocca tutti, e più di tutti chi convive con una fragilità. Come l'autismo. Una delle più devastanti, capace di creare distanze siderali tra persone fisicamente presenti ma smarrite in un altrove, quello di un "Io" frammentato e dolente dove vanno cercate, trovate, e riportate all'altra dimensione, quella del "Noi". Ma per farlo occorre innanzitutto volerlo, ed è questo il passo più difficile. Perché dovrei cercare una persona che probabilmente non mi darà nulla di ciò che mi aspetto?

Probabilmente, proprio per questo. L'autismo è il paradigma dell'inclusione: se lo accogli si spalanca un mondo in cui non c'è posto per la paura dell'altro, e nemmeno per la paura di sé. Ognuno è ciò che è, e da ogni "Io" può sbocciare un "Noi".

 

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