Il senso di una mancanza, il disorientamento, una speranza testarda scandiscono il tempo alla Missione speranza e carità, fondata 30 anni fa da Biagio Conte che ormai contempla lo sguardo del Padre con gli occhi degli ultimi. Qui la vita è sempre stata febbrile e non si ferma neppure ora. E anche un anno dopo la sua morte a 59 anni, sopravvenuta il 12 gennaio 2023, continuare il "sogno" dell’uomo dal saio verde è l’appello di questa "fabbrica collettiva" dove si prova a costruire un nuovo modello sociale, inclusivo e rigenerativo.
«Fratel Biagio era un mite, potente lottatore. Lottava con l’arma del digiuno per tendere al massimo la sua forza umile e non violenta, per insegnarci che è possibile combattere ogni forma di violenza e non essere violenti, portare la Croce di Cristo e la croce del povero», aveva detto nella sua commossa omelia l’arcivescovo Corrado Lorefice nel giorno dei funerali. E’ possibile cambiare la propria vita - è la domanda scritta nei cuori che affollano le strade di questa cittadella, ma in fondo di tutti - anche se altri ti vedono come uno scarto, uno sbaglio? Insieme si può tentare... è una risposta possibile. Qui si mettono le mani nelle ferite della gente, dentro una tensione tra il "già" che esiste e il "non ancora" che si sogna e si vuole realizzare. E’ una comunità rigenerativa in grado di riscattare esistenze e periferie da una cultura dello scarto di cui anche noi siamo vittime e talvolta perpetuatori.
I poveri amati dal missionario laico, i volontari, tante persone continuano a essere presenti nella cittadella della solidarietà e nella chiesa di via Decollati dove hanno trovato dimora le spoglie di Fratel Biagio, quel corpo che ha incontrato tantissimi corpi, anime e sguardi feriti, uomini e donne alla ricerca di un senso o di un impegno concreto in una città che si sente un pò orfana. Tutto questo inchioda la comunità, le istituzioni e i cittadini, a una responsabilità.
Dice don Pino Vitrano, che con fratel Biagio ha condiviso questa sfida che ora conduce: «E' difficile sintetizzare trent'anni di esperienza che portano a una dimensione di vita che non sempre si può descrivere a parole, perchè con lui era un parlare non tanto a voce, ma cuore a cuore. E allora, quando tu incominci a scoprire questo linguaggio del cuore, comprendi che solo in quel modo può andare avanti a maturare un cammino così».
La missione accoglie, sostiene e forma nei vari laboratori ogni giorno circa 600 persone, c'è chi dice un migliaio. Cambia poco, quel che conta, ed è la richiesta di tanti, è che continui a operare. E che al disorientamento subentri la certezza che c'è l’impegno di tutti perchè questo cuore pulsante di umanità e di riconquista della dignità non cessi di battere. Perchè questo accada occorre che si dia sostanza a quanto fratel Biagio ripeteva: i poveri sono di tutti. E viverla ogni giorno questa cosa, forse è il solo vero modo per dimostrare di avere compreso questo santo laico. E per diventare un pò santi e meno banali anche noi.
«Generoso missionario di carità e amico dei poveri», ha detto in quei giorni di un anno fa, Papa Francesco - che nella sua Missione venne condividere il pasto con i poveri - in grado di scorgere proprio nei poveri «il volto stesso di Gesù», accendendo «una fiamma d’amore nella città di Palermo e nel cuore di quanti lo hanno incontrato». Per il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, «il suo amore per gli ultimi - affermò in negli stessi giorni - la scelta di cercare delle risposte per non abituarsi mai allo scandalo della povertà e alla sofferenza dei poveri, l’accoglienza intelligente e generosa sono un’eredità preziosa, da raccogliere e continuare, non solo a Palermo ma in tutto il Paese. In una società in cui si cerca una felicità individuale, fratel Biagio ci ricorda che la vera felicità ce la dona il tempo speso per il prossimo».
Così l’eredità di Fratel Biagio sono i poveri, certo, ma anche un sguardo sulla città e su chi la vive, sono le dinamiche ostinate, creative e operose della fraternità. E della condivisione, perchè nessuno è così sazio da non avere bisogno di «un pezzo di pane» nè così povero da non potere condividere questo «Cibo della fraternità».
Un sogno e un impegno che continuano.
Biagio ha raccontato l’inizio della sua missione, quando a 26 anni cercava una direzione in mezzo alla sua inquietudine: «Ero felice di vivere con i poveri alla stazione, di aiutarli e confortarli, mi prodigavo a portare loro thermos, panini e coperte». Un’esperienza forte «e cominciai a chiedere aiuto a tutti, andai pure dal cardinale Pappalardo, il quale capì quel giovane che andò a bussare alla sua porta e decise di venire alla stazione per celebrare una messa insieme a tutti i fratelli ultimi sotto i portici della stazione; è stato un momento indimenticabile che mi incoraggiò molto e soprattutto aprì gli occhi della città sui tanti fratelli poveri che vivevano per strada, non considerati da nessuno, come se fossero scarto e rifiuto». Inizia così la Missione: «Un progetto di Dio sconvolgente, ricco di speranza e carità, che a distanza di trent'anni dal suo nascere ha coinvolto e continua a coinvolgere uomini e donne di ogni ceto sociale, anche capaci di cambiare radicalmente il loro modo di vivere per diventare missionari e missionarie della speranza e della carità, per operare nei luoghi di emarginazione».
La conferma sono le scelte compiute da persone come Valeria Perricone, assistente sociale e impegnata al Cesvop, che spiega cosa sia stato per lei condividere la vita della Missione di speranza e carità dove ha festeggiato le sue nozze: «Per me è stato l’insegnamento più semplice e diretto di cosa vuol dire amare la propria città, i propri poveri, sbracciarsi, riprendersi un bene abbandonato e con la solidarietà di tutti ricostruire partendo dagli ultimi e con loro protagonisti. La mia idea di farsi prossimo nasce non solo da Biagio Conte in prima persona, ma dalle energie e dalla solidarietà che quest’uomo ha saputo attirare come un magnete, me in prima persona, spingendomi ad andare, quasi giornalmente, in Missione per 5 anni (dai 17 ai 22 anni), fino a decidere in maniera del tutto naturale, che il nostro matrimonio si dovesse festeggiare li».
Un sogno, quello della missione e del vasto movimento sviluppatosi nei decenni, che è cresciuto perchè, come si legge su un pannello, a fianco della foto di una radice di albero, simbolo del progetto di fratel Biagio, «anche dalle macerie può sempre nascere un germoglio di Speranza, grazie all’aiuto dei fratelli».
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