E' probabile che anche il Padreterno, prima di chiamarlo a sé dall'altra parte del ...campo, battendogli una mano sulla spalla, gli abbia detto «Scusa Ameri». Vent’anni fa (sette aprile 2004) il triplice fischio di chiusura della partita della vita, per l'ex numero uno di «Tutto il calcio minuto per minuto», in molti l'abbiamo idealmente immaginato così, rifacendoci all'espressione cult, che fu il marchio di fabbrica della fortunata trasmissione. Del secolo di vita che la Radio italiana festeggia, almeno la metà Enrico Ameri l'ha attraversato da protagonista. È stato il vero erede di Nicolò Carosio raccontando nove campionati del mondo, tutte le partite della nazionale fino al 1991, commentando 1600 gare di serie A, diverse edizioni del Giro d'Italia e del Tour de France. In tanti siamo cresciuti con il mito della sua e delle altre voci che uscivano da quella "scatola magica".
Erano gli anni Sessanta, quelli del miracolo economico e della contestazione giovanile, della grande musica leggera con Modugno, Morandi, Mina, Celentano e Gigliola Cinquetti e dello strimpellare delle vecchie "Olivetti" nelle redazioni dei giornali. L'Europa era ancora quella della guerra fredda e del muro di Berlino. Ma tutto passava in secondo piano quando la domenica pomeriggio, in coincidenza con l'inizio dei secondi tempi, partiva dalla sede Rai di Milano in corso Sempione, la sigla di «Tutto il calcio».
Era come il suono delle campane per la messa solenne. Segnava l'inizio di quel rito collettivo, che ha accompagnato l'evoluzione del costume sociale del Paese nel secondo Novecento fino ad essere immortalato in tanti film di successo («Gl'imbroglioni» con Walter Chiari, «Scusate il ritardo» con Massimo Troisi, «Al Bar dello sport» con Lino Banfi, «Ultimo minuto» di Pupi Avati). La media degli ascoltatori superava i venti milioni. Almeno un italiano su due, in casa (schedina totocalcio alla mano), in gita con la famiglia o allo stadio (dopo l'invenzione della radioline a transistor) stava con l'orecchio incollato alla trasmissione.
Lo ammetto : in quegli anni anche io avevo scelto quella sigla come colonna sonora delle mie domeniche e non perdevo una puntata. Chiudevo gli occhi e mi lasciavo cullare da quel concerto di voci straordinarie. Avrei dato non so che cosa per incontrare un giorno Ameri. Semplicemente per l'ebbrezza di stringere la mano a colui che era entrato nel mio immaginario infantile per il ritmo coinvolgente che imprimeva alle radiocronache. E invece quello che è accaduto dopo è andato oltre i sogni. Ho avuto la fortuna di lavorare e di viaggiare con lui, fino a diventare uno degli allievi “prediletti”. È stata un’esperienza unica: ho potuto beneficiare dei suoi consigli, apprezzare le grandi doti professionali e le qualità umane. Se Carosio aveva l'intonazione secca e po' istituzionale con un sapiente uso delle pause e se Ciotti ha rappresentato un modello di analisi tecnica e abilità lessicale, Ameri è stato l'esempio del radiocronista passionale. Stile inconfondibile, ritmo impetuoso ma allo stesso tempo chiaro e scandito. Aveva la capacità di far "vedere" la partita a quanti non vi potevano assistere. Una lezione di giornalismo vibrante, dall'impronta originale.
La sera in televisione chi aveva ascoltato Enrico ricavava la sensazione di aver già visto tutto. Di lui si ricordano le memorabili dirette di Messico '70 e di Spagna '82 ed il racconto della drammatica serata dell'Heysel, nel maggio del 1985, con il bilancio di 39 morti in occasione della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e LIverpool. Ma pochi sanno che prima del debutto nello sport (con Udinese-Milan nel 1955), Ameri (assunto nel 1949 dopo ben tre provini), lavorò in cronaca per sei anni. Se non l'avessi frequentato e non avessi viaggiato con lui per commentare al suo fianco tante partite, forse non avrei mai saputo dei suoi servizi da inviato di guerra in Indocina nel 1954 o dello scoop piazzato l'anno dopo nel Reatino con il racconto in diretta della tragedia aerea nella quale perse la vita la fresca Miss Italia Marcella Mariani.
E che dire delle sue indimencabili radiocronache sulla missione dell'Apollo 11 che portò allo sbarco dell'uomo sulla Luna? La sua voce descrisse in maniera affascinante la partenza da Cape Canaveral e le fasi dell'ammaraggio nel Pacifico seguite dal centro di controllo spaziale di Huston. Forse furono quelle le radiocronache più coinvolgenti : assimilò gli astronauti Armstrong, Aldrin e Collins a dei superatleti perché in fondo la loro missione era anche una grandissima impresa sportiva. E giacché in questo 2024 si celebrano i settant'anni della Tv è giusto ricordare che fu Ameri l'ideatore e il primo conduttore del «Processo del Lunedì», prima che la trasmissione andasse ad Aldo Biscardi.
Nelle ripetute frequentazioni mi ha anche ricostruito le sue tappe di gioventù, con ricchezza di aneddoti, di dettagli e di curiosità. Non ha mai negato la fervente fede cattolica , le idee politiche di convinto uomo di destra, che nel 1943 lo portarono ad iscriversi alla Repubblica Sociale e a combattere per la Guardia Nazionale Repubblicana. Per questa ragione venne imprigionato dagli alleati e finì nel campo di concentramento di Coltano in provincia di Pisa. «Una gabbia di filo spinato – diceva – esposta alla pioggia e al vento, in compagnia di Ugo Tognazzi, Walter Chiari, Raimondo Vianello, Dario Fo, Benito Lorenzi, Giuseppe Dordoni, Enrico Maria Salerno». Poi aggiungeva: «In carriera non mi hanno mai fatto pesare le mia fede politica, anzi, posso dire che la massima considerazione l'ho ottenuta da un comunista convinto come il fondatore della redazione radiocronache, Vittorio Veltroni».
La sua rivalità con Sandro Ciotti era nota a tutti. Osservava : «Quando Ciotti fa un’intervista alla fine ti ricordi solo di Ciotti e non dell'intervistato». Ma rimase sempre una rivalità professionale, caratterizzata da reciproco rispetto. Anzi, quel dualismo eterno fu una risorsa per «Tutto il calcio» perché in trasmissione ciascuno riuscì sempre dare il meglio di sé.
Vent’anni sono trascorsi da quando Ameri si è spento all'ospedale di Albano laziale per una crisi cardiaca. La sua rimane la voce di un eroe senza tempo: riecheggia ancora nel cuore e nella mente di intere generazioni di ascoltatori che lo ricordano con affetto, ammirazione e rimpianto. La memoria è la nostra vita, diceva lo scrittore Giorgio Scerbanenco. E quando la memoria è forte, vuol dire che è sospinta dal vento della storia e nessuno la può buttare giù dal podio.
«Scusa Ameri» non è più solo uno slogan, un intercalare, una scarica di adrenalina. È un'ammissione di colpa per quello che non siamo riusciti a fare dopo di lui.
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