La Pandemia da covid 19 ha messo a nudo, in tutta la sua “virulenza” la necessità di un rilancio dell’assetto organizzativo e gestionale della Sanità. In attesa di fare tesoro di questa dolorosa esperienza, che ancora non è definitivamente superata, occorre ripartire con la determinata volontà di fare bene e subito! Secondo un recente rapporto Censis-Janssen, presentato in occasione della prima edizione di “The Italian Health Day”, gli italiani si aspettano un grande e immediato cambiamento della sanità nazionale.
Cittadini sempre più informati, responsabili e partecipi; con il medico garante della salute, supportato da innovatori – ricercatori e imprese – tutti in sintonia per raggiungere lo stesso obiettivo della svolta sanitaria. I punti d’attacco sono tanti. Personalizzazione delle cure nella sfida che va dalla gestione della malattia acuta a quelle croniche, attenti a scrutare e neutralizzare le nuove emergenze, che d’ora in avanti non dovranno avere più spazio a disposizione. Recuperare il piano di prevenzione delle malattie, non solo infettive e virali, ma quelle insidiose, silenti, in agguato perché inizialmente asintomatiche. Ma anche agire sul declino organo-multiorgano legato all’età, nella ricerca dei killer silenti, in relazione alle delicatissime problematiche del fine vita. Senza dimenticare ovviamente la sostenibilità economica, base di partenza e di arrivo di ogni riforma, fondamentale per la rinascita di una sanità da cambiare e rilanciare rapidamente.
La ricerca scientifica e l’innovazione sono per il 90,6% dei cittadini l’essenza vera di una rinascita reale e senza tale riscontro, nulla, secondo il campione intervistato, potrà cambiare. Sempre 9 su 10 ritengono che la spesa pubblica per la salute rappresenti un investimento e non un costo (93,7%). Gli innovatori, imprese incluse, non sono più percepiti come una componente esterna alla sanità, ma come attori e decisori in grado di utilizzare la sfida delle necessità e della qualità della vita dei malati e delle loro famiglie.
In quarant’anni la mortalità per malattie ischemiche del cuore si è ridotta di quasi il 70%, quella per patologie cerebrovascolari di oltre il 70%. Ciò è dovuto ai nuovi trattamenti, che per intenderci significa innovazione, ricerca, tecnologia, aggiornamento. Il Servizio Sanitario Nazionale è atteso ad una grande prova di maturità, un cambio radicale richiesto dai tempi e non solo dalle circostanze.
Occorre rivedere l’approccio alla persona, la presa in carico e la sua gestione, sistemi, organizzazione, cure, formazione, impegno economico. Cambiare i servizi, ricollocare le emergenze-urgenze e le ultra specialità ai passaggi verso il domicilio online. Esternalizzare la diagnostica di base con le relative cure e supporti per la cronicità, ivi inclusi gli esiti di gravi malattie con reliquati permanenti. Eliminare i cronicari, veri ghetti del passato, con nuove strutture, rispettose della dignità umana, anche e soprattutto nella fase involutiva e anticipatoria della fine. Istituzionalizzare ambienti aperti, non ospedalizzati ma alberghieri per le varie patologie croniche e di lungodegenza. Facilitare l’accesso alle cure convenzionali, senza dimenticare l’umanizzazione della gestione ed il pesante calvario dell’inizio della fine vita.
Anche il distacco dalle famiglie va riconsiderato e una nuova modalità va supportata e incentivata con ogni investimento e tecnologia. Maggiore vicinanza dei familiari non vuol dire disturbare gli operatori, nella loro routinaria, trasparente e partecipe attività! Secondo aspettative dei cittadini, la sanità del futuro dovrà essere sempre più «pazientecentrica» e su misura: il 94,3% auspica una maggiore personalizzazione delle cure, il 92,9% si aspetta che i percorsi di cura, dal domicilio al territorio, fino agli ospedali, siano modulati sulle esigenze personali della patologia del paziente. Un altro imperativo categorico.
Inoltre, è necessario capovolgere l’ottica del sistema salute mentale, e pensare alla digitalizzazione come strumento basilare e non più sperimentale, così come avviare reti di collegamento rapido tra i professionisti del settore, dai medici di famiglia ai pediatri ai nuovi operatori sanitari. Le previsioni socio-demografiche devono parimenti tenere conto dell’età media di sopravvivenza, il calo demografico, l’aumento delle famiglie unipersonali, le patologie invalidanti, le fragilità, la perdita dell’autonomia. In questo importante quadro nazionale deve trovare spazio il Sud, sempre in affanno e con un grande bisogno di adeguato rinnovamento.
«Il Servizio sanitario nazionale è il bene più prezioso che abbiamo e non deve lasciare indietro nessuno. Per la prima volta nella storia della programmazione delle risorse europee, il nostro Paese ha un programma operativo nazionale per la sanità, il P. N. per l’equità della salute. Investiremo queste risorse, circa 625 milioni di euro, sul Mezzogiorno. Che vuol dire restituire cure accessibili e diritti ai territori d'Italia che più scontano le diseguaglianze sul piano dell'assistenza sanitaria.
La salute è un diritto costituzionale, va garantita a tutti, non può dipendere da dove vivi e da quanti soldi hai», così il ministro della Salute Speranza ha spiegato il piano di potenziamento rivolto in modo esclusivo alle sette regioni del Sud. Tre i principali cardini: la prossimità, l’innovazione e l’uguaglianza. Portare la salute vicino ai cittadini in un breve percorso casa-territorio. Facilitare l’accesso ai servizi e sviluppare un sistema moderno che consenta ai vari livelli di assistenza di interfacciarsi. Superare gap inaccettabili da una parte all’altra dell’Italia. Così la formulazione del Pnrr.
Con il decreto di ripartizione è stato assegnato al Sud circa il 41% degli 8 miliardi di euro suddivisi fra le regioni. Con il ministero del Sud e la coesione territoriale, 625 milioni di euro, proprio per il piano nazionale per l’equità della salute, orientato secondo quattro priorità: incrementare gli screening oncologici, rafforzare i dipartimenti di salute mentale, promuovere la medicina di genere con incremento dei consultori e infine contrastare la povertà sanitaria.
Il ministro Speranza, annunciando entro giugno il programma nazionale per l’equità nella salute, per cui le regioni dovranno presentare i loro progetti, da realizzare secondo un preciso cronoprogramma, ha parlato di nuove case della comunità, più moderne apparecchiature sanitarie, digitalizzazione dei dipartimenti di emergenza e accettazione del primo e secondo livello, aggiunte alla revisione dei vecchi ospedali di cura. E ancora formazione, ricerca e digitalizzazione anche e soprattutto dell’assistenza sanitaria.
In altre parole sanità uguale alta tecnologia e innovazione, altrimenti non si va da nessuna parte. «La telemedicina, urgente e non più differibile rappresenta la marcia in più per la sanità digitale, una sanità che riesce ad essere più vicina alle persone, che entra in casa, per trasformare quella casa nel primo luogo di cura», queste le convinte, accorate dichiarazioni ufficiali dell’impegno per il Sud del ministro.
Ma il Pnrr e il piano nazionale per la salute basteranno a realizzare questo storico programma? E in quanto tempo? Con quali figure e modalità? Che spazio e che qualità di assistenza sarà riservata agli anziani, ai fragili, ai cronici? Il piano prevede di riservare, nel dettaglio, un budget pari a l’8,3% dei fondi alla sanità (18,6 miliardi su 222), 8,6 miliardi per l’aggiornamento tecnologico degli ospedali e la ricerca scientifica, 7 per il potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale, 1 per la telemedicina, 1 per la sostituzione delle apparecchiature sanitarie, 1 per la costituzione degli ospedali di comunità.
Occorrono però, secondo gli esperti del settore, altri investimenti per un cambio sostanziale. Occorrono altresì nuove figure professionali, nuovi professionisti delle tecnologie ad alto impatto sulla salute, nuove figure per l’assistenza domiciliare per i semiautonomi, che tanto bisogno hanno di famiglia, ma anche di ambienti noti e conosciuti e di cure.
Ci si domanda da dove attingere da un punto di vista non solo economico, ma anche formativo, con quali procedure, con quali intenti immediati. Occorre, ed è sempre più urgente, una nuova governance della sanità, la gestione dei nuovi assetti sanitari non può più essere espressione del compromesso tra meritocrazia e politica, ma deve dare via libera alle nuove e moderne figure manageriali e non rispondere solo dei bilanci blindati, ma rilanciare soprattutto gli investimenti per le nuove realizzazioni e i nuovi percorsi di cura.
Non vanno dimenticate, in questa particolare fase critica, tutte le professionalità sanitarie e parasanitarie disponibili anche in quiescenza, che possono dare un importante contributo in questa fase in cui mancano figure professionali di rilievo, almeno fino a quando questa carenza non sarà colmata da nuovi correttivi, ancora in essere.
La ristrutturazione e l’ammodernamento dei vecchi ospedali deve tenere conto delle finalità e dei bisogni originari. Inoltre, va da sé che è necessario formare le professionalità indispensabili per le nuove strutture e i nuovi percorsi, quindi attuare una politica di occupazione e di qualificazione soprattutto per i giovani del Sud, con l’acquisizione di competenze sin dalla laurea e percorsi dedicati ad alta specializzazione. Ma è necessario occuparsi anche della formazione di base, rafforzando e mantenendo un costante aggiornamento di qualità, misurabile, propedeutico per il processo di crescita e sviluppo professionale, sempre attenti al divario che non deve lasciare in sanità aree grigie.
Insomma, preparare il Sud ad una nuova fase di adeguamento e di normalizzazione riteniamo sia un’occasione unica, non più ripetibile, per le favorevoli circostanze, non solo di carattere economico, che deve essere colta, compresa, assimilata e avviata e se possibile realizzata, nei tempi e con le migliori risposte possibili.
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