Quasi 130 milioni di euro in Calabria. Poco meno di 800 milioni in Sicilia. Un budget che si avvicina al miliardo per recuperare il terreno perduto in un campo, quello della sanità, in cui è servita una pandemia per tirare da sotto il tappeto un enorme quantitativo di polvere. Una polvere accumulata in anni di tagli, di budget ridotti, di una medicina del territorio sempre più trascurata. L’inversione di marcia arriva col Pnrr, acronimo che sta per Piano nazionale di ripresa e resilienza e che in più ambiti è divenuto sinonimo di ultimo treno da non poter perdere.
Per la sanità di Sicilia e Calabria è il treno che può riportare nel territorio e nei luoghi più periferici quell’assistenza che, invece, era stata riservata solo ai centri dotati di medi e grandi ospedali. Strutture di prossimità, si chiamano. Una sorta di sanità della porta accanto. Tradotto in numeri: in Sicilia 155 “case di comunità”, 50 centrali operative territoriali, 44 ospedali di comunità, di cui 6 nella provincia di Messina (11 nel Palermitano, 10 nel Catanese); in Calabria 16 ospedali di comunità, 19 centrali operative territoriali e 57 case delle comunità.
La svolta, il treno che passa, sta tutto in quelle parole: “territoriali” e “comunità”. Sono tre le tipologie di strutture previste. Le Case di comunità sono definite come «luogo fisico di prossimità e di facile individuazione, dove la comunità può accedere per entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria e sociosanitaria». Le caratteristiche: medico h24, presenza di infermieri e specialisti. Poi sono le Centrali operative territoriali, alle quali spetta «una funzione di coordinamento della presa in carico della persona e raccordo tra servizi e professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali: attività territoriali, sanitarie e sociosanitarie, ospedaliere e dialoga con la rete dell’emergenza-urgenza».
Ne è prevista una ogni 100 mila abitanti, o comunque a valenza distrettuale. Infine gli ospedali di comunità, con almeno venti posti letto ogni 50-100 mila abitanti: strutture sanitarie «di ricovero breve», con una «funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero» e lo scopo di «evitare ricoveri ospedalieri impropri o di favorire dimissioni protette in luoghi più idonei al prevalere di fabbisogni sociosanitari, di stabilizzazione clinica, di recupero funzionale e dell’autonomia e più prossimi al domicilio». Ognuno di questi ospedali dovrà avere uno standard minimo di nove infermieri, sei operatori sociosanitari e un medico per almeno quattro ore al giorno, sette giorni su sette. Sono proprio gli ospedali di comunità la scommessa principale dei Pnrr Sanità.
Nella provincia di Messina ne sono previsti sei: uno nel capoluogo, nell’area dell’ex presidio ospedaliero Mandalari; uno a Taormina, in un terreno di contrada Marfaele; a Milazzo, nell’ex presidio di Vaccarella; a Barcellona, nell’ex presidio ospedaliero; a Patti, in località “case nuove Russo”; a Sant’Agata Militello, in via Catania. Per le altre aree metropolitane siciliane, a Palermo ne sono previsti 11, a Catania 10. Sedici, invece, gli ospedali di comunità previsti in tutta la Calabria: sei nel Cosentino (Rogliano, Lungro, Mormanno, San Marco Argentano, Scalea, Cassano allo Jonio), uno nel Crotonese (Mesoraca), tre in provincia di Catanzaro (Botricello, Soveria Mannelli, Girifalco), uno nel Vibonese (Soriano), quattro nel Reggino (Gerace, Cittanova, Oppido Mamertina, Bova Marina). Il treno è alla fermata giusta. Non salirci su sarebbe imperdonabile.
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