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Programmare e investire

Bellezze naturali e tesori d’arte, borghi bellissimi, enogastronomia famosa nel mondo, un clima propizio per quasi tutto l’anno. Eppure la Sicilia ha ancora molto da fare...

Isolabella, Taormina
Isolabella, Taormina

Si può nel 2022 parlare ancora del turismo come di un’opportunità? Sì e, forse, occorrerebbe aggiungere un aggettivo. Il turismo è una delle opportunità mancate dalla Sicilia per immaginare uno sviluppo in grado di offrire occupazione e prospettive. I margini rimasti sono esigui. La Sicilia prima della pandemia contava più o meno lo stesso numero di pernottamenti dell’isola di Malta che è estesa meno di un decimo della sola provincia di Messina. L’isola più grande e che sorge al centro del Mediterraneo come un’isola di un arcipelago minore. Non sono solo le statistiche a evidenziare la marginalità della Sicilia in termini turistici. La si può cogliere anche dalla percezione che, nel resto del Paese, si ha della Sicilia, del suo mare, del suo movimento turistico. Quando i tg nazionali devono occuparsi del mare e del turismo balneare lanciano servizi provenienti dall’Emilia Romagna, dal Friuli Venezia Giulia (sì, dal Friuli!) e, ogni tanto, dalla Versilia e dalla Sardegna. Stop. La Sicilia non riesce a farsi percepire come meta turistica.

Eppure, rispetto a Malta o a Lignano Sabbiadoro, la Sicilia ha molto di più. Una città-capitale, le testimonianze archeologiche della Magna Grecia, l’enogastronomia, il clima, i borghi medievali, scorci che vanno dai vulcani attivi allo Stretto, isolette che nulla hanno da invidiare alla Grecia, alla Croazia o alle Baleari, i mosaici di Monreale e piazza Armerina, il barocco del Sud-Est, i parchi, le dimore storiche, le opere di Caravaggio, Antonello da Messina, Guttuso, Fiume e Guccione, gli eventi, le mete del turismo religioso. E la lista potrebbe ancora continuare sapendo comunque di far torto ad altre eccellenze dell’Isola.

C’è ancora un’altra opportunità per il turismo siciliano? Il realismo si ferma solo davanti alla speranza. Oggi non è facile ripartire. I villaggi turistici e i grandi alberghi sono in mano a proprietà o fondi stranieri (che reinvestono gli utili dove trovano più conveniente), non abbiamo una compagnia aerea e per le nuove è difficile trovare spazi e slot che Ryanair ha già fagocitato (decidendo tra l’altro da dove a far provenire gli aerei che atterrano in Sicilia al di là di ogni tentativo di programmazione e di ogni pur vaga strategia di marketing), la Puglia è diventato l’hub crocieristico del Mediterraneo e difficilmente mollerà questo ruolo, i giovani preferiscono lavorare come camerieri dodici mesi a Londra piuttosto che due o tre (magari in nero) nella propria terra, i collegamenti interni e i servizi sono quel che sono, le politiche dei prezzi tutto meno che concorrenziali, la destagionalizzazione quasi sconosciuta, i litorali oppressi dall’abusivismo, dai poli petrolchimici, dalle serre, dalle seconde case che si aprono 40 giorni l’anno.

I giovani, che viaggiano e studiano all’estero, difficilmente tornano e chi ha buone idee spesso è costretto alla resa dalla burocrazia, dalla politica, da un sistema bancario che dalla Sicilia prende quel che può e poco restituisce. Gli imprenditori veri sono pochi e lavorano tra grandi difficoltà; molti di più coloro che dedicano più tempo a come incassare aiuti non dovuti piuttosto che a far sviluppare la propria azienda.
Il turismo siciliano è così lo specchio di una Sicilia che va avanti per inerzia. Troppo bella e tanto triste.

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