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Sognare in grande si può, anzi si deve. Partendo dalla ricerca e passando per start up, agricoltura e artigianato

Due progetti promettenti: “Harmonic Innovation” a Tiriolo e “Agapi” a Saline Joniche. E poi un esercito di tessitori (Longobucco) e mugnai-panificatori (San Floro), vignaioli-enologi (Nocera Terinese) e casari (Candidoni), “spiritari” del bergamotto e norcini (Tropea)

Antico e nuovissimo. Il recupero di grani e cereali, ma anche di tecniche coniugate con ricerca e tecnologia
Antico e nuovissimo. Il recupero di grani e cereali, ma anche di tecniche coniugate con ricerca e tecnologia

La lucida visionaria follia: chissà cosa avrebbe pensato Erasmo da Rotterdam di un investimento, oggi, sull’idea. Il futuro incastrato fra pensiero e azione: non uno, ma due “spazi totali” per la scommessa di una Calabria che guarda avanti. Ci sono fari di speranza nella regione dove la pandemia lascia in eredità un Pil in coda alle regioni italiane (con un export che vale meno del 2%) e, secondo gli ultimi dati di Eurostat, una delle peggiori posizioni per occupazione di giovani laureati tra i 20 e i 34 a tre anni dal conseguimento del titolo.

Il primo investimento si chiama “Harmonic Innovation” ed è destinato a diventare uno dei principali hub italiani, concepito per favorire il progresso tecnologico e imprenditoriale di tutta l’area del Mediterraneo. Il secondo è “Agàpi”, campus per lo sviluppo di specifici progetti basati sulle nuove tecnologie al fine di favorire l’interazione tra il mondo delle imprese, le start-up, l’imprenditoria giovanile, università e centri di ricerca.

Scelte, in entrambi i casi, aree a lungo dimenticate ma dalle grandi potenzialità: una a Tiriolo, alle porte di Catanzaro, in un sito infrastrutturale ex Telecom, che senza alcuna aggiunta di nuovi volumi edilizi verrà riqualificata e rifunzionalizzata in ottica green; l’altra a Saline Joniche, nel complesso dismesso delle ex Officine Grandi Riparazioni delle Fs a due passi da Reggio.

“Harmonic Innovation Hub” è un’idea di Azimut Libera Impresa Sgr, attraverso il Fondo infrastrutture per la crescita, e del think thank Entopan, che proprio in questi mesi chiudono un accordo destinato a cambiare l’approccio fin qui incerto della Calabria su innovazione e sviluppo del tessuto produttivo. Sul tappeto ci sono per adesso 35 milioni di euro e soprattutto una visione rivoluzionaria: all’interno dell’hub di Tiriolo si integreranno attività di accelerazione, ricerca, sviluppo, trasferimento tecnologico e formazione.

Un network operativo in cui interagiranno stabilmente 50 grandi player nazionali e internazionali, 100 tra startup innovative, spin-off universitari e piccole imprese, 200 ricercatori, innovation manager e 40 centri di competenza. Già oltre 100 le manifestazioni di interesse ricevute da aziende, start up, enti di rappresentanza, istituti di ricerca e formazione, per occupare spazi all’interno dell’infrastruttura.

Coinvolte fondazioni, banche, università: anche in Calabria si può pensare in grande.
A Saline, il campus “Agàpi” (Area Grecanica Adavanced Platform for Innovation) vuole essere un mega hub hi-tech polifunzionale e poliattrattivo, dove sviluppare la cooperazione tra l’Università Mediterranea di Reggio, aziende nazionali e internazionali leader nel settore dell’innovazione e le piccole e medie imprese del territorio. Un progetto ambizioso che immagina investimenti per almeno 90 milioni di euro su un’area di di circa 37 ettari dove sorge la struttura industriale dismessa oltre vent’anni fa.

Ma guardare al futuro è possibile da mille altre prospettive, al di là dei mega-investimenti e del Pnrr. A Longobucco, nella Sila cosentina, la secolare arte della tessitura si reinventa in versione 4.0, continuando però a lavorare sui telai a mano. Tradizione e innovazione capaci di stare insieme anche a San Floro, nel Catanzarese, dove un’operazione di crowdfunding lanciata nel 2016 si trasforma in modello di start up agricola da replicare in ogni regione italiana, adeguandolo ogni volta alle tipicità locali. “Mulinum” è l’azienda agricola che vuole dar vita a una filiera del grano completa e controllata in ogni suo passaggio: farine trasformate in pane secondo antiche ricette e soprattutto ricerca, oggi più attuale che mai sul terreno dell’agricoltura e dell’enogastronomia.

Ed è tra i vigneti dell’antica Enotria – il cui nome stesso riporta alle radici greche di ôinos (vino) – che s’intersecano le strade della ripartenza. Qui secolari suggestioni e ricerca e modernità s’intrecciano fra i mille rivoli di riconoscimenti internazionali, nuovi mercati e marchi vincenti. Come quelli dei vini Doc calabresi, risorsa dalle enormi potenziali citata di recente dal prestigioso New York Times, che inserisce – unico italiano – il rosso calabrese prodotto dalle Cantine Odoardi, a Nocera Terinese, tra i venti migliori al mondo acquistabili per meno di venti dollari. O il “Terre di Gerace - IGT Calabria Bianco 2020” dell’azienda “Barone Gr Macrì Srl” di Locri, medaglia d’oro nei giorni scorsi al Concours International de Lyon.

Prodotti di nicchia diventano risorsa, come il pecorino delle Fattorie della Piana, a Candidoni, appena premiato a Oviedo, in Spagna, dove ha ottenuto la la medaglia d’oro al campionato mondiale dei formaggi. E come il bergamotto di Reggio, eccellenza della Calabria che sa costruire intorno ai suoi tesori. Ed ecco che il “viaggio” passa quasi fatalmente da un consorzio, quello per la tutela del bergamotto impegnato da anni nella lotta per riconoscimento del marchio Dop al “frutto della salute” che cresce solo nella Costa dei Gelsomini, fascia di terra nel cuore della Magna Grecia.

Il valore dell’agrume richiesto in tutto il mondo ha già avuto ripercussioni positive anche nell’economia locale, tanto che i produttori nella zona reggina sono cresciuti dell’11% e i loro redditi del 40%. Ma la prospettiva può essere di più ampio respiro: sull’agrume simbolo di Reggio si può costruire un’economia che superi la civiltà contadina e il mestiere dello “spiritaro”, l’artigiano del bergamotto. Salumi, olio, peperoncino, la cipolla di Tropea sono “brand” ormai arcinoti: la sfida posta-pandemica sta sempre più nella capacità di farli diventare trainanti per un'economia che non deve vivere solo (e poco) di turismo stagionale.

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