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Da legge Beckham a Hollande
quando il fisco fa gol

Ibrahimovic
Dalla legge Beckham alla Legge... Ibra: l'effetto-annuncio di Francois Hollande di introdurre una supertassa per i redditi sopra il milione di euro potrebbe scatenare un effetto domino nel mondo del calcio. Anche se il provvedimento è per ora annunciato (e già si ventilano eccezioni, riserve e deroghe per il mondo degli sportivi e degli artisti) e tutto da scrivere, l'aliquota al 75% per i redditi superiori a 1 milione di euro rischia di guastare le feste a molti Paperoni del pallone. Se andasse in porto, a farne le spese sarebbe in primis il Paris Saint Germain degli sceicchi, che quest'anno non ha badato a spese per portare sotto la Torre Eiffel (e a suon di milioni) star di prima grandezza come Thiago Silva, Lavezzi e Ibrahimovic. Proprio lo svedese, con i suoi 16 milioni lordi a stagione, è il giocatore più pagato della Ligue 1, guadagnando 90 volte più del presidente Francois Hollande. L'eventuale supertassa potrebbe disincentivare i grandi campioni a trasferirsi in Francia, favorendo viceversa altri Paesi dove il regime fiscale è più vantaggioso. A cominciare dalla Russia, che, oltre ad essere diventato un campionato più 'appetibile' dal punto di vista tecnico, potrebbe diventare un vero bengodi del pallone anche sotto il profilo fiscale, considerando che nel Paese di Putin è in vigore una sola ed unica tassa (non progressiva) con aliquota del 13%. Per gli 'italiani' Spalletti, Bocchetti e Criscito, che hanno scelto l'avventura sportiva nell'ex Unione Sovietica indubbiamente uno stimolo (economico) in più. E non a caso, due stelle del calcio portoghese come Hulk (Porto) e Witsel (Benfica) hanno, proprio nell'ultima sessione di Calciomercato, deciso di lasciare i propri club per approdare allo Zenit di San Pietroburgo che per loro ha sborsato ben 80 milioni di euro. Difficile quindi pensare adesso a simili trasferimenti in Paesi oggi economicamente più fragili e dove il prelievo fiscale è ben maggiore. Se ne sono accorti anche in Spagna, finora uno dei lidi più 'generosi' per le star del pallone, dove le manovre finanziarie 'lacrime e sangue' hanno cominciato a colpire i maxiredditi. Dall'1 gennaio 2012 in Spagna, infatti, coloro che dichiarano al fisco redditi superiori ai 300mila euro, devono versare nelle casse dello Stato ben il 52% (il 56% in Catalogna). Forse è stato anche questo (se non solo questo) il motivo che ha impedito il ritorno di Kakà - oggi al Real Madrid dove guadagna 9 milioni netti - al Milan, dove invece avrebbe subito una 'sforbiciata' fiscale di svariati milioni. Eppure, grazie alla legge Beckham (approvata dal governo Aznar nel giugno 2005 e poi abrogata nel gennaio 2010) la Spagna era diventata negli ultimi anni terra di conquista non solo di trofei, ma anche di fuoriclasse del pallone grazie ad un'aliquota ridotta dal 43% al 24% per tutti i lavoratori stranieri con introiti superiori ai 600.000 euro annui. Un quinquennio dorato (e di grandi successi sportivi) che ha consentito di battere ogni concorrenza. Basti pensare che in Inghilterra l'aliquota sugli stipendi dei calciatori è oggi al 45% e si applica alla parte del reddito che eccede le 150mila sterline l'anno (é stata appena abbassata perché prima era al 50%), in Bundesliga al 42% (45% per i redditi sopra i 250.700 euro), in Serie A al 43% e in Ligue 1, ad oggi, al 40%. In questo modo i club spagnoli hanno potuto offrire ingaggi milionari a campioni come Kaka, Ibra e Ronaldo pagandoli il 30% in meno rispetto ai club degli altri campionati europei. Con la crisi, pero,' lo scenario fiscale è cambiato radicalmente e Hollande - involontariamente - potrebbe anche sparigliare gli equilibri del calcio continentale. (ANSA)

 

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