di Paolo Cuomo
Tutti lo vogliono, tutti lo cercano. È diventato, meritatamente, uno degli sportivi italiani più osannati del momento e, da otto anni, è anche un grande amico di Capo d'Orlando e di “Gazzetta del Sud”, due realtà che non perdono occasione per ricambiare stima e affetto. Meo Sacchetti da pochi giorni è il coach della squadra campione di pallacanestro e per la prima volta Sassari e la splendida Sardegna hanno issato il tricolore, emulando il Cagliari di Gigi Riva.
Al termine di un'epica finale contro la generosa Reggio Emilia, decisa all'ultimo tiro di gara-7, la Dinamo ha coronato una incredibile scalata che l'ha portata dal 2009 – quando la favola cominciò in A2 con Sacchetti-padre in panchina e il duo Vanuzzo-De Vecchi in campo (a cui si è poi aggiunto Sacchetti-figlio) – a dominare la scena dei canestri nazionali con il fantastico “triplete” Supercoppa, Coppa Italia bis e Scudetto del 2015.
Sacchetti non è solo il miglior allenatore italiano, ma anche un fuoriclasse di umanità e moralità. A tal proposito tutti evidenziano, giustamente, i passaggi più significativi della fantastica serie appena conclusa. Noi, invece, non dimentichiamo quando, tre anni fa, si recò nello spogliatoio di Pesaro per consolare e incoraggiare lo sfortunato playmaker Traini che si era appena rotto i legamenti del ginocchio. Gesti e atteggiamenti – come quello di non lamentarsi mai degli arbitri – che Meo ha nel Dna della sua cultura sportiva e che lo rendono una persona amata, in un mondo che spesso si comporta diversamente.
Poi c'è un altro capitolo di questa splendida storia. Nonostante gli ottimi risultati centrati in una carriera da tecnico iniziata con una lunga gavetta (e partita dalla C2), non sono mancate le critiche al suo gioco, fatto di “corri e tira” (meglio se da 3), con poche ma efficaci regole tattiche e l'assoluta valorizzazione del talento individuale e dell'uomo. Lo stucchevole ritornello «così Sassari non vincerà mai» (letto e ascoltato anche dopo il secondo trionfo consecutivo in Coppa Italia...) ora finalmente cesserà.
E c'è di più: in zona “PalaSerradimigni”, forse perché abituati sin troppo bene, quando in Europa e in regular season le cose non giravano (situazione vista anche l'anno scorso e persino dopo lo 0-2 con Reggio Emilia), in tanti hanno storto il muso, esprimendo giudizi affrettati e gratuiti sull'operato del 61enne “baffo”, che da atleta ha lasciato un'impronta nella Nazionale degli anni '80 e da coach ha sempre dimostrato conoscenza del gioco e una radicata convinzione nel provare a esaltare i pregi di ragazzi che, seguendo i suoi consigli e le sue idee, riescono poi a migliorare l’istinto da solisti. Ora, quindi, è il tempo della gioia e della soddisfazione a 360 gradi. E in tanti sono pronti all'immancabile “Io l'avevo detto”... Ma Sacchetti non ci bada, lui è fatto così. «È normale vivere queste situazioni nello sport di oggi, soprattutto quando la gente si abitua alle vittorie e magari pensa che sia sempre tutto facile e che siamo diventati il Real Madrid. Ogni anno, arriva il periodo nel quale bisogna convivere con le critiche. Ma ormai ho capito che è il gioco delle parti. Ora, piuttosto, spero di gustarmi al più presto il dolce gusto del trionfo poiché non me ne sto rendendo conto. Sono giorni frenetici e intensi, ho ancora molta adrenalina in corpo. Ma arriverà il momento in cui ripercorrerò quanto abbiamo realizzato. E l'emozione sarà di nuovo fortissima».
– Ripensando a...?
«Gara-6 che resterà nella storia del basket italiano. Passeranno gli anni, ma sono certo che si tornerà a discutere della sfida terminata dopo 3 supplementari, con momenti di raro pathos. Quando c'è l'attimo giusto bisogna saperlo cogliere al volo perché potrebbe non arrivare mai più. I nostri avversari lo hanno avuto e più volte sono stati vicini a conquistare il titolo. Poi il “treno” è passato anche per noi e siamo stati bravi a non perderlo».
– Al termine di gara-5 persa a Reggio Emilia, che ottiene così il 3-2, pronunci le parole che secondo noi cambiano la serie. Eccole: «Sarà un controsenso, ma avendo fatto poco canestro da tre (ad un certo punto lo scout segnava 0-22), per la paura di tirare ancora da fuori, abbiamo rinunciato a conclusioni aperte per andare dentro, scontrandoci con la loro difesa che ci aspettava. Invece dovevamo insistere e prenderci i tiri aperti anche se la palla non entrava». Analisi perfetta. Il risultato? In gara-6 dopo l'1-13 da tre, la squadra ti ascolta, continua a provarci e chiude con 8-28 diventando letale dall'arco proprio nel terzo supplementare; nella “bella” ecco il replay: 1-10 all'intervallo, ma si continua a tirare senza timori e l'8-27 alla fine è determinante.
«Eppure c'è chi ha criticato le mie parole dopo il ko di gara-5... Invece volevo riuscire a trasmettere incondizionata fiducia ai ragazzi su un aspetto del gioco che sapevano interpretare bene. Avendo grandi capacità di reazione – come hanno dimostrato per tutto l'anno, anche sul -17 della “bella” – dovevano comprendere che era necessario insistere perché la palla sarebbe tornata a entrare. Crederci sempre e riacquistare sicurezza erano le basi per farcela».
– Un altro momento decisivo è gara-2 a Trento, con la serie dei quarti già sullo 0-1.
«Sicuramente. Arrivavamo da un brutto ko e se Trento avesse piazzato il 2-0 non saremmo qui a parlare di titolo. Invece abbiamo cambiato qualcosa nel quintetto, inserendo De Vecchi mentre Sanders, partendo dalla panchina, ha cominciato la sua ripresa dopo un periodo poco felice. Da lì ho capito che potevamo giocarcela con tutte».
– La scalata è così diventata irresistibile e il tuo basket “libero e bello” ha continuato a non conoscere limiti. Che meravigliosa rivincita!
«In passato, soprattutto nei primi due anni sassaresi, quanto di negativo alcuni pensavano sul mio basket mi provocava fastidio. Ora però sono diventato più flemmatico e non m'importa nulla. Se vogliono, che continuino. Certo, provo una soddisfazione ulteriore ad aver smentito chi riteneva che con la mia filosofia non avrei messo trofei in bacheca. In realtà io credo che per sviluppare un progetto siano fondamentali i giocatori giusti e io li ho sempre avuti».
– Hai il contratto sino al 2018 ma durante la stagione ci sono state forti divergenze con il presidente Sardara, che hanno fatto anche ritenere che il ciclo potesse essersi concluso. Le vittorie hanno risolto tutti i problemi?
«È stata una stagione pesante sotto questo aspetto. L’incontro con il presidente per proseguire l’avventura c’è stato proprio in queste ore. Ci siamo seduti a un tavolo, abbiamo affrontato le varie situazioni, ci siamo parlati a lungo perché era giusto spiegarsi visto che sono accadute delle cose particolari. Era sacrosanto tirare fuori tutto quello che si aveva dentro, dicendosi le cose in faccia per camminare in futuro su una sola strada. Lo abbiamo fatto e ora andiamo avanti». Fino alla prossima critica.
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Nell'edizione di oggi in edicola della Gazzetta del Sud la seconda parte dell'intervista.