di Paolo Cuomo
Meo Sacchetti, che da Capo d’Orlando cominciò la sua carriera in Serie A grazie a una felice intuizione di Enzo Sindoni, continua il suo racconto di una stagione indimenticabile, culminata venerdì scorso, nella “bella” di Reggio Emilia, con la conquista del primo scudetto suo e della Dinamo Sassari.
Già, l’Orlandina. Dove tutto cominciò in quella magica estate del 2007. Con una squadra delle meraviglie, la migliore all time, guidata in campo dal genio di Pozzecco e dalla classe di Wojcik e con un trio di giocatori – Drake Diener, Sammy Mejia (che lo sostituì a metà stagione) e CJ Wallace – che da qui spiccarono il volo. E proprio il PalaFantozzi lo scorso 1. dicembre ha tributato un eccezionale omaggio a Meo in occasione del suo ritorno, concluso per i sardi con un bruciante ko in volata.
Ieri “Gazzetta del Sud” ha pubblicato la prima puntata della lunga intervista al 61enne allenatore nato ad Altamura che da giocatore è stato una colonna della Nazionale di Sandro Gamba, vincendo l’argento olimpico a Mosca ’80 e l’oro europeo a Nantes ’83.
– Ad un certo punto della stagione, per dare equilibrio a una squadra che spesso sbandava o “batteva in testa”, sembrava necessario l'ingaggio di un playmaker puro. Ma l'occasione buona non è arrivata e un'altra “medaglia” che puoi esibire è di aver trovato la quadra al momento giusto.
«Abbiamo avuto dalle nostre guardie tanti alti e bassi, anche se confidavo sempre nel loro talento e nelle qualità, grazie alla superiore fisicità che potevano far valere rispetto agli avversari. E così è stato, perché proprio nei playoff le loro caratteristiche hanno fatto la differenza: penso a Sosa contro Trento e ovviamente a Dyson e Logan nelle 14 sfide con Milano e Reggio Emilia, quando a turno si sono esaltati, diventando decisivi. E allenare un gruppo che non si è mai arreso è stata davvero una grande gioia».
– Hai subito indicato Shane Lawal come l'uomo-chiave. Il pivot, dopo una carriera senza acuti, è sbarcato la scorsa estate a Sassari e con te ha dominato. A tal punto che è vicinissimo alla firma di un ricco triennale con il Barcellona. Si ripete così la storia che, già nel 2014, aveva lanciato sulla ribalta Caleb Green, il quale, dopo un anno in Sardegna, è stato ingaggiato dall'ambiziosa Unicaja Malaga. Altre “medaglie”, ragazzi che ti saranno per sempre grati.
«Con Lawal alla fine di gara-7 ci siamo detti tante belle cose. Lui è stato determinante per noi perché ha portato dinamismo, energia, grinta. È stato il motore. Anche se il premio è andato a Rakim Sanders, per me è stato il nostro centro l'Mvp delle finali. Conquistare oltre 20 rimbalzi in partite così importanti rappresenta un dato incredibile. Spesso ci ha acceso».
– Al “PalBigi”, prima di festeggiare tutti insieme con il trofeo, un paio di clic da brividi hanno fatto il giro d’Italia: David Logan che consola un disperato Della Valle e tuo figlio Brian che fa lo stesso con l’eroico Polonara, a terra in lacrime. Anche queste sono immagini che il tempo non cancellerà...
«La finale ha regalato tante parole, una sana competizione, l’ovvia delusione di chi ha perso, la gioia sfrenata di chi ha vinto. E quelle scene commoventi di fine partita, che non dimenticheremo facilmente, rappresentano il bello dello sport, la vera essenza, la genuina consacrazione. Quando l’uomo viene prima del giocatore».
– Adesso che hai deciso di rimanere per la settima stagione consecutiva in Sardegna, che squadra sogni di allenare nella seconda avventura in Eurolega?
«Trattenere tutti sarà impossibile, è una storia alla quale siamo abituati (tanti club vogliono pure Logan e Sanders, mentre in entrata è stato bloccato l’ex varesino Eyenga, ndc). Con la società proveremo a capire chi potrà davvero restare, poi cominceremo la costruzione. È bello, però, sapere che Sassari è diventata una piazza ambita. Anche se quest’anno, per gli spostamenti, abbiamo dovuto prendere l’aereo circa 130 volte...».
– E se oggi ripensi alla finale-scudetto che da giocatore non hai potuto disputare interamente con la maglia di Varese a causa del grave infortunio al ginocchio?
«Vincere da giocatore dà una sensazione, da allenatore è un'altra, differente. Non è detto che se 25 anni fa fossi sceso in campo nelle altre partite contro la Scavolini, poi ce l'avremmo fatta. In realtà credo che il passato sia tale e quindi non ho rimpianti».
Caricamento commenti
Commenta la notizia