Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Francesco Cinà:
la chiave del successo?
Una chiacchierata
è stata la nostra fortuna

Francesco Cinà è l'allenatore più felice del mondo. 40 anni, palermitano, ex giocatore, ha iniziato nel 2007 la sua collaborazione con Roberta Vinci e in un pomeriggio di settembre l'ha vista realizzare il sogno di ogni sportivo: battere la giocatrice (probabilmente) più forte all time, davanti al popolo americano, con il Grande Slam ormai all'orizzonte. Incredibile!

Nelle ultime settimane Cinà ha fatto un po’ di tutto, in un vortice di emozioni: coach, manager, addetto stampa, segretario, soprattutto amico su cui poter contare sempre. In 8 stagioni ha guidato la Vinci a cinque trionfi in doppio nei tornei dello Slam (con Sara Errani), sino al n.11 nel ranking di singolare (2013), e, ciliegina, alla finale di Flushing Meadows dopo una serie di prestazioni perfette a livello tattico e di tenuta mentale.

Cinà ha spesso ripetuto che proprio nell'anno più difficile per lui e Roberta – e dopo una serie di eliminazioni al 1. turno che avevano minato fiducia e certezze – è arrivato come un arcobaleno il capolavoro.

– Coach, il bello viene proprio adesso, con una chiusura di stagione da vivere sulle ali dell’euforia e che potrà regalare altri eccellenti risultati.

«Siamo a Wuhan per una nuova fase di questa annata. Robi è molto stanca ma come sempre si sta impegnando al massimo. Non è stato facile, dal punto di vista psicologico, tornare in campo contro avversarie più agguerrite che mai, ma noi ci siamo riusciti, superando i primi due turni e ora cercheremo di allungare il momento positivo».

– Quando ripensa al cammino di Roberta agli Us Open ha ancora i brividi?

«Se un allenatore dovesse dire qual è il suo sogno, la risposta sarebbe facile: trionfare in uno Slam. Io grazie a Roberta ne ho vinti tanti in doppio, mentre in singolare ci siamo andati vicini. Aver battuto, però, la più forte al mondo, nel suo stadio, quando era ormai giunta a soli due passi dal Grande Slam, è stato commovente. E se ci ripenso, sì che mi viene ancora la pelle d'oca!».

– Qual è stato il segreto dell’exploit? Ed a mente fredda, avrebbe fatto  qualcosa di diverso in finale?

«La chiave è stata, senza dubbio, la lunga chiacchierata con Roberta prima di partire per gli Stati Uniti. Eravamo indecisi se continuare o no a lavorare insieme; poi, per fortuna di entrambi, abbiamo scelto di proseguire questa avventura. La finale? Di sicuro, con il senno di poi, avrei dovuto isolarla dal resto del pianeta dopo l’impresa sulla Williams. Sequestrare cellulari e computer e riconsegnarli alla proprietaria solo alla fine... Pazienza, anche questa è esperienza».

– Tanti i traguardi di grande valore che in questi anni avete raggiunto, con la consacrazione in singolare arrivata contro Serena. Ci racconta tutto, sin dal primo giorno di collaborazione?

«Io e Roberta abbiamo un rapporto splendido, con alti e bassi come avviene nelle intense collaborazioni. Ma ci vogliamo molto bene e ci stimiamo tanto: al giorno d'oggi non è facile seguire una giocatrice di tennis per 8 anni. Abbiamo iniziato il nostro percorso con una vittoria in un torneo a Milano da 50mila dollari e da quel giorno non ci siamo più lasciati!».

– Ma Francesco Cinà, tra i coach (settore maschile compreso) un modello a cui si ispira ce l’ha?

«In Italia e nel mondo ci sono parecchi allenatori più o meno famosi davvero bravi, come ci sono tantissimi giovani che giocano bene. Bisogna solo farli lavorare  nella maniera più giusta. Io, da parte mia, cerco di ascoltare e di parlare con tutti i miei colleghi».

– E il Cinà giocatore com’era?

«Fatte le debite proporzioni e senza presunzione ero una Roberta Vinci al maschile. Troppo leggero per competere a certi livelli e con un rovescio da migliorare tecnicamente. Tutto qui, anche perché non mi piace parlare di me. Quello che invece voglio ribadire è che i coach nel tennis odierno sono fondamentali e possono condizionare una carriera. Un allenatore valido può consentirti di diventare un giocatore vero, a differenza di uno non bravo che rischia invece di farti cambiare mestiere».

– E quant’è forte questo gruppo “made in Palermo” (staff, circolo, città) che ha trascinato Roberta Vinci così in alto?

«Io dico che è fortissimo. Una città che ha accolto Roberta come meglio non si poteva, soprattutto il Country dove ci alleniamo e dove trascorriamo il 90% delle nostre giornate. Per avere successo ci vuole di tutto un po’ e la Vinci a Palermo lo ha trovato».

 

Caricamento commenti

Commenta la notizia