«Siamo il governo del cambiamento, e cambieremo». Anche nello sport. Dopo gli attacchi di Giovanni Malagò alla riforma del governo, pronto a chiudere Coni Servizi e separare la gestione dei fondi alle federazioni per lo sport di base dal comitato olimpico, arrivano le parole di Matteo Salvini. E’ un contrattacco al presidente dello sport italiano, e a tutto il sistema. «Se mi aspettavo una risposta così dura da Malagò? E’ molto nervoso, lì girano molti soldi. Ci sono megastipendi, presidentissimi con segretaria, mega uffici e autista...», dice il vicepremier all’arrivo a San Siro, per seguire Italia-Portogallo. «E' il nervosismo di chi pensava che nulla cambiasse, e invece noi vogliamo cambiare», l’affondo di Salvini. Insomma, neanche in tema di sport il leader leghista pensa al pur minimo passo indietro. Anzi, semmai è l’attuale sistema sportivo a doverne fare «non uno, ma tre: se qualcuno pensava di essere presidente a vita, si sbagliava. Lo sport non è una monarchia». I contenuti ricalcano la linea seguita da Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo sport, che aveva parlato di personalismi di Malagò e di vicinanze con Lotti al momento di veder votare l’allungamento dei mandati a tre per la presidenza del Coni. Ma i toni, in questo caso, sono il messaggio. Il contrattacco di Salvini, infatti, arriva due giorni dopo le dure accuse di Malagò ("non è una riforma, ma l’occupazione del Coni da parte della politica: neanche il fascismo aveva fatto tanto..."); e soprattutto nel giorno in cui a dar voce alle proteste Coni sono stati gli atleti, i portabandiera olimpici Pellegrini e Lupo in testa, e Malagò aveva invece provato ad ammorbidire i toni in attesa di un nuovo incontro a Palazzo Chigi. «Da parte nostra c'è la volontà di incontrarci e capire se si può ragionare su presupposti di chiarezza senza essere prevaricati», aveva detto il presidente del Coni nel primo pomeriggio. Poi, in serata, lo stop di Salvini. «I soldi sono tanti, ma lo sport non è solo di chi prende cinque milioni l’anno o dei presidenti con megastipendi: la gente - la parola d’ordine del vicepremier - vuole che quei soldi dall’alto piovano anche sui campetti di periferia».