Egan Arley Bernal Gomez da oggi entra definitivamente nella storia del Tour de France, sedendosi al fianco dei grandi del ciclismo. Dopo Richard Carapaz, divenuto il primo ecuadoriano a vincere il Giro d’Italia, Bernal riesce a elevare nell’Olimpo dello sport un altro Paese sudamericano, questa volta la Colombia, posizionandolo sul gradino più alto del podio di una grande corsa a tappe. È la nuova frontiera del ciclismo. Sarà un caso, ma Bernal è nato lo stesso giorno di Marco Pantani, il 13 gennaio: non del 1970, bensì del 1997. Approdò in Italia grazie a Paolo Alberati che, avendolo visto in sella a una mountain-bike, rimase impressionato dalle qualità di quel ragazzino esile, un vero fenomeno sui pedali. I tornanti che portano al rifugio Sapienza, sull'Etna, è il primo terreno di sfida di Bernal che successivamente finisce alla corte di Gianni Savio che lo ingaggia nella Androni Giocattoli, da dove spiccherà il volo per il Team Sky, oggi Ineos. È un predestinato, Bernal. Il team manager della squadra inglese, Dave Brailsford, lo ha definitivo il «Messi del ciclismo». Mica uno qualunque. Bernal è insuperabile in salita e va forte a cronometro, specialità nella quale ha margini di miglioramento. Vincere a 22 anni un Tour de France è un segnale chiaro e preciso. Un’ipoteca sulle edizioni che verranno. Bernal non è solo il primo colombiano a trionfare a Parigi, ma anche la maglia gialla più giovane della storia. Quando Francois Faber nel 1909 si affermò, è vero, aveva a 22 anni e 187 giorni, ma la maglia gialla non esisteva ancora. Un altro primato per il Messi del ciclismo. Bernal ha costruito il proprio trionfo metro dopo metro, con un atteggiamento tattico impeccabile, senza mai farsi prendere dall’ansia. Era arrivato al Tour per aiutare il proprio capitano Geraint Thomas a centrare il bis, dopo il successo dell’anno scorso, si è ritrovato a guardare tutti dall’alto. Dopo la conclusione della crono a Pau nella generale era a 2'52'' da Julian Alaphilippe, in giallo. Quel giorno chiuse con un ritardo di 1'36'' dal francese e nessuno immaginava che arrivasse così in alto, non tanto per la resistenza di Alaphilippe in quota, quanto perché Thomas quel giorno dimostrò di essere lui l’uomo della Ineos deputato a puntare al successo. Sulle Alpi, più che sui Pirenei, Bernal ha spiccato il volo e, l’altro ieri, nella tappa interrotta dal maltempo, si è preso la maglia gialla con un attacco irresistibile. Anche i tifosi francesi, una volta tanto, hanno di che rallegrarsi, perché Thibaut Pinot - finché la sfortuna e l’infortunio non lo hanno fermato - ha dato spettacolo e Julian Alaphilippe ha vissuto 14 giorni in giallo, sognando anche un successo assolutamente imprevisto. La vittoria per i 'cuginì transalpini, però, non arriva dal 1985 (Hinault). Il ciclismo azzurro si consola con il bel numero di Nibali di ieri sulle Alpi, quello di Trentin e lo sprint di Viviani, ma soprattutto con i due giorni in maglia gialla di Ciccone. Un buon viatico. Lo sprint serale nei pressi dell’Arco di Trionfo è andato all’australiano Caleb Ewan, al terzo sigillo nella 106/a edizione del Tour. Peter Sagan ha vinto per la settima volta la maglia verde della classifica a punti, quella bianca di miglior giovane non poteva andare che a Bernal (a Parigi l’ha indossata David Gaudu), quella a pois a Romain Bardet, che salva così il proprio Tour.