"Le regole sugli atleti con divergenze nel sviluppo sessuale (DSD) sono un mezzo necessario, ragionevole e proporzionato per proteggere la concorrenza leale e significativa nell'atletica femminile d'elite". Con questa motivazione la Corte Suprema svizzera mette un punto fondamentale e presumibilmente decisivo sulla complicata vicenda di Caster Semenya, l'iperandrogina più famosa del mondo, nonché formidabile ottocentista sudafricana - due volte campionessa olimpica e tre mondiale -, coi nanomoli di testosterone fuori norma (ne ha cinque per ogni litro di sangue), che annuncia sul suo profilo twitter di essere stata nuovamente bloccata nella sua attività agonistica, e quindi non potrà difendere il titolo iridato dal 28 settembre a Doha.
La corte interviene sull'istanza del tribunale (sempre svizzero) che aveva sospeso il provvedimento restrittorio del Tas di Losanna e della Iaaf (quindi della giustizia sportiva) permettendole di tornare alle gare, e ribadendo quindi in legge quelle decisioni. Peraltro, la tappa di Diamond League di Stanford di fine giugno, dove la Semenya di era potuta ancora esibire aveva ribadito per l'ennesima volta la troppo netta superiorità dell'atleta. Che ha corso ancora una gara a sé, staccando di almeno trenta metri tutte le avversarie in 1'55"70, cogliendo il 31esimo successo consecutivo sulla distanza (l'ultimo k.o. sul doppio giro e' addirittura al settembre 2015). Convalidando la tesi della Federazione Atletica Mondiale (IAAF), che si era già espressa chiaramente: "Biologicamente è un uomo ma con tratti d'identità di genere femminile".
Non è colpa di Semenya se la genetica la rende superiore in virtù del maggior testosterone nel suo corpo che - è scientificamente provato - migliora le prestazioni nelle competizioni che non superano il miglio di distanza (dai 400 ai 1609 metri). Ma è innegabile che questa circostanza sia manifesta e illegale nei confronti delle altre atlete donne. Del resto, non potendo competere con gli uomini, perché lì sarebbe manifestamente, geneticamente, inferiore, e non essendoci un terzo genere, ci sarebbero solo altre due strade da seguire. Potrebbe decidere di abbassare artatamente i livelli di testosterone nel suo sangue, portandoli nei parametri delle colleghe e quindi delle regole dello sport che vuole praticare.
Come hanno fatto altre atlete iperandrogine come Nyonsaba, Wambui e Shand, e come ha provato lei stessa, probabilmente, dopo i Mondiali di Berlino 2009, quando ebbe prestazioni di sei-sette secondi più basse dei suoi tempi abituali. Per poi però ribellarsi a una simile forzatura biologica: "Non permetterò più che usino il mio corpo. Mi sento ferita in un modo che le parole non riescono a spiegare". Oppure, come ultima ipotesi, potrebbe cambiare specialità ed impegnarsi nelle gare di fondo, dove le regole sono diverse. La 28enne che, ai Mondiali 2017 a Londra aveva conquistato il titolo mondiale, ha annunciato battagliera: Continuerò a lottare. Sono molto delusa dall'impossibilita' imposta di difendere un titolo così faticosamente conquistato, ma tutto ciò non mi scoraggerà dal continuare la mia battaglia a favore dei diritti umani di tutte le atlete donne coinvolte".
La decisione della Corte Suprema svizzera, fortemente sollecitata dalla federazione Atletica Mondiale e dalla giustizia sportiva, interviene anche ad evitare qualsiasi futura ipotesi di manomissione genetica degli atleti. Pericolo che sembra remoto, ma è fortemente connesso al doping genetico. La nuova frontiera dell'imbroglio coadiuvato dai medici. Nel caso di Semenya e del altre atlete iperadrogine, si tratta di un "doping naturale", ma è sicuramente una condizione particolare che avvantaggia in modo eclatante rispetto alle altre concorrenti, falsando i termini della competizione. E questa deve restare la frontiera invalicabile del senso del sport.
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