Un abbraccio che spazza via le chiacchiere e regala all’Inter tre punti dall’enorme significato, una risposta a tutte le polemiche e agli «errorì' sbandierati da Conte e Marotta. Dallo screzio negli spogliatoio nell’immediato post-Slavia (trapelato, secondo il tecnico e l'ad, con troppa facilità) al tripudio nel derby: Brozovic con una rasoiata deviata da Leao e Lukaku con una zampata di testa fanno pace, scambiandosi teneri buffetti prima e dopo la gara e ritrovandosi come uomini copertina del successo nerazzurro, arrivato con ampio merito. Nella Milano della 'Fashion Week' vince la griffe dell’Inter, non più pazza, almeno in campionato, ma «ad immagine e somiglianza» di Conte.
Tre legni (palo con D’Ambrosio e Candreva, inframezzati dalla traversa di Politano), una rete annullata a Lautaro (per fuorigioco millimetrico di D’Ambrosio), due gol nella ripresa (Brozovic al 4', convalidato grazie al Var, e Lukaku al 33') e una superiorità per certi versi schiaccianti sui rivali cittadini, tanto che Donnarumma è ampiamente il migliore in campo del Milan. Conte si dimostra sarto da enormi profitti: l’Inter rialza la testa dopo il mezzo passo falso in Champions League con lo Slavia, con tagli essenziali ma ben riconoscibili, come accade nei grandi brand internazionali, e resta ancora salda in testa alla classifica, a punteggio pieno, rispondendo per le rime alla vittoria pomeridiana della Juventus.
Giampaolo invece si ritrova un prodotto ancora ibrido che non riesce a convincere pubblico e critica, con troppi strass e pochi bottoni, troppi colori sgargianti e poche forme: già nella tonnara della terra di mezzo, la trasferta contro il Toro potrebbe aprire una prima voragine tra le posizioni che contano e quelle anonime. Un inizio di stagione ben lontano dalle speranze di una società che fatica a ripartire. A San Siro, monumento verso il viale del tramonto con il progetto per la demolizione, si svolge però una festa dello sport pulito, con il messaggio congiunto contro il razzismo prima di una gara accesa ma corretta, il tripudio però è tutto dell’Inter.
La Curva Nord è ormai stregata da Antonio Conte, lo invoca a gran voce per riconoscergli un tributo con cori e gli perdona definitivamente il suo passato juventino. Brozovic e Lukaku saltano e ballano sul mondo Inter: il croato nel ruolo di metronomo è diventato una garanzia, il belga invece è la torre dietro la quale i compagni si nascondono nel pochi momenti di difficoltà. Il Milan invece è largamente insufficiente e se la gioca ad armi para solo sul finale del primo tempo: appena un tiro scoccato verso la porta di Handanovic che coincide con il palo nel finale di Hernandez e la vana illusione del gol con Calhanoglu (favorito però da un tocco con il gomito di Kessie).
Per il Milan, poi, emerge la sinistra sensazione di essere alla mercé degli avversari, più tosti, determinati, convinti. Semplicemente più forti e più squadra. La nota lieta per Giampaolo è Donnarumma: in settimana Boban lo aveva designato nel ruolo di leader dello spogliatoio e il portiere sfodera una risposta da grande campione, con almeno tre interventi che tengono a galla i compagni, travolti dall’esuberanza sbarazzina dell’Inter. Nemmeno il colpo di teatro di schierare la scheggia impazzita Leao smuove qualcosa in un attacco sterile, con Piatek tenuto a bada dalla morsa di Godin-de Vrij e Suso molto fumoso e poco pratico. L’immagine perfetta del Milan, con tanti dubbi e poche certezze.
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