Era solo una questione di tempo. Quel trono che è stato di Rod Laver, Bjorn Borg, Pete Sampras, Roger Federer, Rafa Nadal e Novak Djokovic oggi è suo. Suo, di Jannik Sinner. Il rosso che finalmente sa farsi valere anche sulla (terra) rossa, nonostante un'anca gli abbia impedito di essere competitivo in primavera e di partecipare agli Internazionali di Roma. E chissà se Jannik fosse un numero 21 qualunque (si fa per dire...) del ranking quanta polvere si sarebbe alzata a casa nostra. E invece l'unica polvere che si solleva è quella color ocra del Roland Garros di Parigi, quasi a voler ammantare a mo' di investitura il nuovo numero uno del tennis mondiale. Il primo italiano, a patto che i soloni-negazionisti non considerino San Candido (in provincia di Bolzano) troppo lontano da Roma per essere considerato delle nostre parti. Già, perché c'è ancora chi sostiene che Sinner di italiano abbia poco, come se in un Paese di quasi 60 milioni di abitanti ci siano quelli “un po' più...” e quelli “un po' meno...”. E invece basterebbe godersi il personaggio del momento, ben al di là della tecnica, delle insalatiere sollevate (una Davis al momento, poi chissà...) o dei primati nel ranking. Perché ciò che rende Jannik speciale è il suo modo di essere.
Mai sopra le righe, sorridente il giusto (non sconfina mai nell'irriverenza), pacato anche nei momenti caldi. Altrimenti, dopo l'errore arbitrale clamoroso che gli è costato il trofeo di Montecarlo, avrebbe dato vita a uno show. Niente. Ci sarà rimasto malissimo, certo, ma ha incassato, stretto la mano all'arbitro e al suo avversario, fatto tesoro di questa esperienza. E di esempi ce ne sarebbero altri. Come quando un raccattapalle, durante il Roland Garros, ha perso la bussola e il timing percorrendo il campo proprio mentre Sinner stava per chiudere il punto in un momento cruciale della gara contro il beniamino di casa Gasquet. Niente. Anche lì ha tirato dritto, senza sbraitare o mostrarsi adirato a favore di telecamera. L'errore fa parte del gioco, non si dà alibi Jannik. Il più bel regalo che lo sport potesse fare all'Italia. E al mondo intero.
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