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OlimPILLS, Jessie Owens e Luz Long: quando a Berlino un bianco e un nero sfidarono la più grande follia della storia

Tira un’aria strana all’Olympiastadion di Berlino. Il führer e la sua clac di generali e pezzi da novanta dell’esercito, per qualche ora, in quel 4 agosto del 1936 sembrano aver perduto quella sicumera che li contraddistingue. Ci troviamo nella Germania nazista, nella fase di piena venerazione di Adolf Hitler. L’invasione della Polonia e la Guerra che ne consegue dista ancora tre anni, ma la teoria della razza riecheggia dappertutto. Quel pomeriggio di quasi 88 anni fa qualcosa sembra aver sgonfiato la grande menzogna. Eppure le Olimpiadi tedesche sono l’occasione migliore possibile per Hitler che vuole dimostrare al mondo che sì, c’è una razza superiore. Qualcosa, però, e non solo in quella giornata, sta andando decisamente storto a causa di un atleta di colore che sta letteralmente dominando i Giochi con la sua esuberanza fisica. Già, di colore. Motivo buono per far arricciare nervosamente i baffi di Hitler e quelli dei suoi fidi gerarchi. Un guastafeste, ecco come veniva visto l’americano Jessie Owens. Hitler si giocava tutto, ma non aveva fatto i conti con l’antilope nera - così venne ribattezzato dopo l’exploit di Berlino.
Ebbene, quel 4 agosto del 1936, ci fu una coppia che sfidò il regime. Sì, una coppia: Jessie Owens da una parte, il tedesco Luz Long dall’altra: l’impersonificazione della teoria sulla razza ariana, fenomeno assoluto nel salto in lungo. Se Owens volava - letteralmente - nelle altre discipline, non poche erano le difficoltà incontrate nel lungo. Dopo due salti nulli, con ancora un tentativo in canna, arriva il suggerimento che non t’aspetti. Luz Long, la freccia sportiva più precisa nella faretra dei nazisti, si avvicina al suo avversario e gli sussurra all’orecchio: “Jessie, ascoltami, se vuoi effettuare un tentativo valido devi saltare da questa posizione”. Detto fatto. E il salto di Owens vale qualificazione e miglior tempo di giornata. Entrambi si incrociano nella finale del pomeriggio e danno vita a una braccio di ferro di una bellezza rara sorpassandosi e controsorpassandosi in testa alla classifica. Alla resa dei conti, Long non riesce a colmare la distanza dal suo avversario che non avrebbe bisogno dell’ultimo salto per certificare la medaglia d’oro, ma spinto proprio dal suo nuovo amico cerca di ampliare il gap: fa segnare il record (8.06) che durerà per 24 anni. Come se non bastasse, Owens e Long effettuano un giro di campo mentre sono intrecciati in un abbraccio indigesto a chi, dall’alto del suo potere, pensa a superiorità e sottomissioni. E quell’abbraccio Long lo pagherò caro: “Non ti azzardare mai più ad abbracciare un nero”. Poi, i venti di guerra diventano uragani e il saltatore tedesco parte per il fronte. Lewis e Long si scrivono, da buoni amici. Nell’ultima lettera, avendo il sentore che possa finire da un momento all’altro, l’atleta tedesco si fa promettere da Owens che manterrà vivo il ricordo della loro amicizia con chi verrà. Long viene ucciso in Sicilia, Owens manterrà la promessa. Partecipa anche alla nozze del figlio di Luz, Kai. E in quell’occasione racconta di quando un bianco e un nero, con un salto e un abbraccio, grazie allo sport, sfidarono la più grande follia della storia.

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