Giovedì 26 Dicembre 2024

OlimPILLS, il miracolo di Juri Chechi: dal ritiro al bronzo di Atene 2004 dopo una promessa al papà in coma

È il 1992 a Barcellona. Una Barcellona che si appresta a vivere l’Olimpiade. La sua Olimpiade. Come guess star per l’inaugurazione vengono scelti due pezzi dal novanta della musica: Freddie Mercury, leader dei Queen, e Monserrat Caballet, soprano di casa. Oltre all’indimenticabile Barcelona, i due si cimentano in un brano delicato How can I go on, che sembra essere il manifesto di ogni sportivo che ci crede, che vuole farcela nonostante grandi ostacolino grandi difficoltò, grandi avversari: “Come posso andare avanti, di giorno in giorno? Chi può rendermi forte in ogni modo? Dove posso stare sicuro? Dove posso avere il mio posto in questo grande mondo di tristezza? Nel caso di Juri Chechi, la risposta a questi interrogativi arriverà 12 anni dopo. Ironia della sorte, il signore degli anelli azzurro a quell’Olimpiade spagnola avrebbe dovuto partecipare se non fosse per un gravissimo infortunio al tendine. Tra Barcellona 1992 e Atene 2004, però, ci sono altri due Giochi Olimpici: Atalanta 1996 e Sydney 2000. In America Chechi è debordante: vince l’oro a mani basse e fa il paio con i numerosi trionfi a livello europeo e mondiale. Alla vigilia dell’Olimpiade australiana, Chechi è nel pieno delle forze. Non esistono atleti sulla terra in grado di batterlo. Si allena spesso, come è solito fare. Anche nel giorno in cui la spedizione azzurra è in visita da Papa Giovanni Paolo II, sulla strada del ritorno, Juri si ferma in palestra. Qualcosa non va durante l’allenamento. Sente una forte fitta e decide di fermarsi, ma essendo a testa in giù deve comunque effettuare una manovra per non rompersi l’osso del collo: durante la mezza capriola d’emergenza sente che il tendine si stacca dall’osso. L’Olimpiade australiana è andata. Un vero dramma. Nessun medico gli dà speranza di poter tornare a competere a certi livelli. Nelle interviste che rilascia traspare tutta la sua rassegnazione. Finché un giorno, mentre il papà era in coma in un letto di ospedale, succede qualcosa di inaspettato. Mentre cerca di stimolare il babbo pronuncia questa frase: “Dai, papà. Se ti risvegli posso anche pensare di andare alle Olimpiadi di Atene del 2004, tra due anni”. In quel momento papà Leonardo gli stringe la mano. Lo vede come un segno premonitore e allora si mette sotto. Contro tutto e contro tutti. Risale la china e si presenta al via dell’Olimpiade greca. È il 22 agosto 2004. Già esserci e un miracolo. Nessuno pensa a possibilità di medaglia per Chechi, che non è più il cyborg indomabile degli anni precedenti al secondo infortunio. Si aggrappa agli anelli e dà il meglio di sé. È andata. Yuri sa che adesso è finita, ma almeno che è finita come voleva lui. Non si è accorto che la sua performance è talmente bella da meritare la medaglia di bronzo. È lui il terzo classificato ad Atene. “Si è posato come una foglia che si arrende sì all’autunno, rivendicando a sé la grazie del volo. È Yuri Chechi”. Nelle parole del telecronista Rai Andrea Fusco c’è l’essenza dell’impresa di Chechi. E forse anche la risposta a questi due eccezionali cantanti che, 12 anni prima, a Barcellona, si chiedevano “How can I go on?”.

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