Alzi la mano chi, tolti i nerd del tennis, conosce Jiří Veselý e Lukáš Rosol. Ma se andate in Repubblica Ceca, anche la cassiera del supermercato di Český Krumlov, città della Boemia meridionale, sarebbe in grado di tracciare l'identikit di questa coppia di giganti. E, statene altrettanto certi, sarebbe perfettamente capace di raccontarvi cosa stava facendo in quel 18 novembre del 2012, quando un meraviglioso Radek Štěpánek e l'imperturbabile Tomáš Berdych - questi sì già più noti anche a chi il tennis lo conosce senza la necessità di metterlo tra due fette di pane - alzavano al cielo la seconda Coppa Davis consecutiva. Sia chiaro, storicamente c'è stato anche chi, nel palmares delle insalatiere, è stato in grado di far meglio (5 volte e 4 volte di fila gli Stati Uniti, doppio poker per l'Australia), ma il punto è un altro e riguarda la capacità di un Paese di godersi il momento storico. Perché se in Repubblica Ceca ricorderanno a vita Jiří Veselý e Lukáš Rosol - rispettivamente numeri 3 e 4 nella squadra che vinse la seconda Coppa Davis di fila - probabilmente in Italia stenteranno a fare lo stesso, fra dodici anni - quanto meno le cassiere di Vigevano o gli impiegati pubblici di Sciacca - con Simone Bolelli e Andrea Vavassori, ovvero i comprimari dell'Italia che ha trionfato nel torneo delle nazioni per il secondo anno di fila. Ricorderanno certamente i nomi di Jannik Sinner, Matteo Berrettini e Lorenzo Musetti, ma dimenticheranno tutto il resto.
Niente è scontato
L'Italia che vince ancora la Davis fa già parte delle cose scontate, al limite del doveroso. Così come le vittorie di Sua maestà Jannik negli Slam o nei Master 1000. E invece di scontato non c'è proprio nulla. Fino a 5-7 anni fa l'Italia viveva del genio e della sregolatezza di Fabio Fognini, quanto meno per dire che anche noi potevamo vantare un atleta tra i primi 20 al Mondo (avete idea di quanto sia grande, il Mondo, e di quante Nazioni vi siano pronte a sfornare atleti di livello?): un risultato più che dignitoso, anche se c'è stato di meglio.
Il cambio di marcia e il ciclone femminile
Nel frattempo - già da prima in realtà - il movimento tennistico, dalla Federazione al piccolo circolo di città, ha iniziato a macinare. L'avvento dell'attuale presidente Angelo Binaghi, poi, ha rappresentato il grimaldello giusto per scardinare anni di storia un po' più anonima. Cominciando dal tennis femminile che già da 15-20 ha cambiato marcia, mostrandosi perfettamente in grado di restare sul pezzo anche dopo l'addio dei tre soprani Flavia Pennetta, Francesca Schiavone e Roberta Vinci (il quarto, Sara Errani, c'è ancora anche se resta molto competitiva prevalentemente in doppio, come testimonia l'oro olimpico in doppio). Oggi c'è Jasmine Paolini, ma non solo, e la vittoria della Coppa Billie Jean King - la Davis femminile - ne è testimonianza: in grande crescita anche Elisabetta Cocciaretto e Lucia Bronzetti.
L'iceberg maschile
Così come, nel maschile, oltre a Sinner c'è di più: a cominciare da Matteo Berrettini, che ha saputo vincere un destino cinico, baro e molto dispettoso, per proseguire con Lorenzo Musetti (bronzo olimpico), Matteo Arnaldi, Flavio Cobolli, Luciano Darderi, Lorenzo Sonego, lo stesso Fabio Fognini, Luca Nardi, Mattia Bellucci (tanto per restare in orbita Top 100!). E dietro di loro ci sono circoli che ingrandiscono la struttura e famiglie che invogliano i propri figli a indossare scarpe a indossare scarpe da tennis (in senso stretto, questa volta). Resta solo un passaggio da completare: iniziare a godere di ciò che si ha, senza retropensieri e senza dar nulla per scontato. Perché l'Italia del tennis sta vivendo la fase più bella e luminosa della propria storia.
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