Lo sport italiano e in particolare il mondo del taekwondo salutano Park Young Ghil. Il presidente onorario della Fita, la federazione italiana, si è spento a Roma, che oramai era diventata la «sua» città, come «sua» era diventata l’Italia, paese in cui fu inviato nel lontano 1966 con una precisa missione: far conoscere e crescere il taekwondo. Quello che oggi questo sport è diventato in Italia, tra i Paesi di riferimento a livello mondiale, lo si deve soprattutto a lui, sottolinea oggi la Fita. «E' stato il maestro del taekwondo italiano - racconta Angelo Cito, presidente della federtaekwondo - ma è stata soprattutto una persona straordinaria, buona e con una umanità incredibile. Sul piano sportivo, ci ha permesso di essere oggi quello che siamo. Tra i direttori tecnici azzurri più vincenti di sempre, tra gli anni '70 e il 2000 ha conquistato per l’Italia una infinità di titoli. Tutti noi siamo stati suoi allievi. Ci ha trasmesso le sue conoscenze e i suoi valori. Il nostro mondo e tutto lo sport hanno perso un uomo, un maestro straordinario. Io un secondo padre». In Corea, prima di partire, Park Young Ghil si era sottoposto a un allenamento durissimo, per imparare decine di forme e perfezionare le tecniche di combattimento. Quello che poi avrebbe dovuto trasmettere ai giovani italiani. Missione per la quale, all’epoca, erano idoneo anche quel garage, che diventò la prima palestra della Capitale. Al culmine del suo cammino italiano, da dt dell’Italia preparò gli azzurri a Seul '88, prima edizione del taekwondo nella forma dimostrativa, e fu subito un successo, con due argenti e due bronzi. Poi a Barcellona '92 un argento e due bronzi. A Sydney 2000 la prima Olimpiade ufficiale del taekwondo, e Park Young Ghil schierò il giovane Claudio Nolano, ora dt azzurro.
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