Confessiamo di nutrire un’attrazione perversa nei confronti dell’ignoranza. Ancor di più ci affascina quando, invece di essere nascosta, viene esibita con sfrontatezza e orgoglio e non c’è dubbio che la tv offra una vasta gamma di sfumature di cafonaggine, alcune palesi, altre furbescamente mimetizzate. Ciò che, invece, detestiamo è quando, per far risaltare l’ignoranza altrui, si ottiene l’effetto di ridicolizzare il valore della cultura. Il caso emblematico è quello de “La pupa e il secchione e viceversa”, tornato a deliziarci su Italia 1, il cui prequel, sostanzialmente, è quello de Il Collegio. Due trasmissioni destinate ai giovani che offrono una visione errata dei parametri in base ai quali vengono misurati l’ignoranza o la cultura, perché si basano sul più banale nozionismo. A pupe e pupi, per esempio, è stato chiesto di riconoscere da un’immagine un personaggio della letteratura. Il ritratto era quello di Alessandro Manzoni, puntualmente scambiato per Dante o Leopardi. Tuttavia l’errore drammatico è stato l’aver premiato chi indovinava, perché non era certo quella la misura del sapere. Semmai, andava valutato proprio il modo in cui i concorrenti si erano posti di fronte alla prova: una delle pupe, infatti, quasi si faceva vanto di non aver mai letto un libro in vita sua. Episodi simili si sono visti anche nel GFVip, mentre nel Collegio lo stimolo all’apprendimento, sostanzialmente sottoposto al ricatto dell’eliminazione, offriva una qualità dell’offerta didattica veramente scadente. Ora, voler far transitare il sapere attraverso alcune banalità che dovrebbero essere trasmesse dalla scuola dell’obbligo e che i concorrenti ignorano bellamente, o la premialità legata al minimo sindacale dell’istruzione fanno più danni ancora, perché riducono il sapere a vuoto nozionismo. Non apparteniamo alla schiera di coloro che affidano un ruolo didattico alla tv, ché, a nostro avviso, è fatta per l’intrattenimento con l’unico limite di non renderlo becero, ma ciò che, in realtà, fanno queste trasmissioni è di offrire una visione distorta del sapere, ridicolizzato e sopraffatto dalla capacità esibita dai concorrenti di monetizzare ciò che mostrano, foss’anche l’ignoranza. Non ha importanza, infatti, ciò che si sa: ciò che conta è quanti soldi si riescono a guadagnare. Anzi, più il profitto è realizzato senza alcuna competenza, più il sapere perde significato e valore, più il senso di sacrificio legato allo studio viene mortificato. Insomma, non è necessario che nei reality i concorrenti rispondano a domande di cultura generale: hanno già superato il loro ambito concorso per entrare in quel mondo che darà loro notorietà e guadagni