Venerdì 15 Novembre 2024

Il mondo di “Anna”: apocalittico, potente, perturbante

Distopico e resiliente sono a nostro avviso i due aggettivi ultimamente più abusati nella nostra lingua, ma mai il loro utilizzo fu più appropriato che nella definizione di “Anna”, la serie in sei episodi tutti già visibili sulla piattaforma Sky e trasmessi da venerdì su Sky Atlantic. La serie è tratta dall’omonimo libro di Niccolò Ammaniti, che ne è anche il regista, coincidenza che offre una interpretazione autentica della rappresentazione letteraria di questa favola dark, ambientata in un futuro in cui esistono solo bambini, nei quali cova silente la Rossa, pandemia che ha già sterminato tutti gli adulti. Per seguire Anna in tutto il suo percorso di vita e sopravvivenza, nella sua ricerca del fratello Astor, bisogna apparentemente abbandonare ogni fiducia nel genere umano, perché i bambini che popolano questo futuro post apocalittico sono cattivi e meschini, violenti e sopraffattori, interpreti di un mondo che sono costretti a reinventarsi. La loro non è una infanzia negata dalla impellenza di badare a se stessi, ma di una crescita che si sviluppa nella tragedia e si confronta con la morte. Anna è tutto questo, amorevole verso il fratello e dura verso se stessa, conosce la pietas ma la vive come suo proprio e quasi unico sentire, in un mondo in cui la follia si sovrappone alla necessità. Una bambina che ha una sua personale guida nel «libro delle cose necessarie» in cui la madre, prima di morire, le ha lasciato alcune elementari ma utili indicazioni materiali, mentre per la guida etica dovrà fare ricorso all’istinto e al ricordo. Anna ci ha ricordato Enola, la bambina di “Waterworld” che reca sulla schiena il tatuaggio della salvezza, ma in Ammaniti prevale la concezione del mondo parallelo dei più piccoli, la cui logica va ricercata nei flashback e compresa attraverso le metafore che invitano alla riflessione su valori che sembrano scontati, ma rappresentano cardini dell’esistenza. Lo si capisce anche attraverso le figure che fanno leva sull’immaginario favolistico, in cui anche la pazzia sembra legata alla degenerazione di un sentimento. Un merito particolare va alla scelta delle location, e non perché – campanilisticamente – siano siciliane, ma proprio perché ai luoghi viene affidata una simbologia ideologica. Che sia la villa con gli antichi arredi di Bagheria, l’Etna con la sua forza spirituale o il mare come immagine salvifica, la serie trova una sua collocazione ideale, nella quale la bellezza non si vede ma c’è. La serie, insomma, è potente e devastante al tempo stesso, attrae per ciò che vuol dirci, ci respinge per ciò che ci mostra e si affaccia alla speranza solo nelle ultime scene, che, tuttavia, lasciano un finale completamente aperto a varie soluzioni.

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