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Tokyo 2020, la solitudine dei numeri primi in tempi di pandemia

Intensa la partecipazione del premio Nobel per la pace, Muhammad Yunus, creatore del microcredito, toccanti – almeno per noi italiani - le immagini di Milano con la sua piazza Duomo deserta in periodo di lockdown

Ogni quattro anni uno spettacolo che non perdiamo è la cerimonia di apertura delle Olimpiadi. Tanto più questa volta, che gli anni erano cinque, che la 32° Olimpiade a Tokyo era slittata causa Covid e fino a tre giorni addietro non si capiva che fine avrebbe fatto e non si sapeva che la mancanza di pubblico nello stadio l’avrebbe resa il format televisivo per eccellenza. Di solito, infatti, si tratta di uno show di proporzioni bibliche, che per un paio d’ore mostra il meglio dello spettacolo e della tecnologia, giochi di luce, un numero elevato alla potenza di volontari che si prestano per coreografie strabilianti e quadri scenici.

Invece i Giapponesi sono stati più che zen, hanno messo in scena una rappresentazione sobria, anzi quasi dimessa e sottotono, e a lungo si sono interrogati se potesse essere pronunciata la parola celebrazione, perché, effettivamente, per come sta messo il mondo, c’era ben poco da festeggiare. Motivo per il quale, pur nella semplice narrazione, si esaltava la cultura Edo del vecchio Giappone, con vari quadri che ricordavano le tradizioni dei vigili del fuoco, dei falegnami, l’etica dello sport, la nascita dei cinque cerchi olimpici.

Insomma una simbologia complessa nel significato ma essenziale nella forma, che quasi alla fine della manifestazione ha trovato il suo acme nella rappresentazione vivente dei pittogrammi. Ora, ci scuserà tutto il popolo del Sol Levante, ma va bene che sono stati loro a inventarsi la genialata di raffigurare le discipline sportive con una segnaletica a tutti comprensibile, ma, sinceramente, gli omini vestiti di blu che mimavano gli sport ci sembravano i partecipanti a Takeshi's Castle.

Intensa la partecipazione del premio Nobel per la pace, Muhammad Yunus, creatore del microcredito, toccanti – almeno per noi italiani - le immagini di Milano con la sua piazza Duomo deserta in periodo di lockdown. Comunque, è stata l’occasione per un giro del mondo dal divano, passando da nazioni come lo Swaziland che ha cambiato il nome in eSwatini, ma non ha fatto in tempo a cambiare la sigla, atolli sperduti da qualche parte dell’Oceano Pacifico, che hanno inviato i loro tre atleti e una delegazione di diciotto persone – e così in patria non è rimasto nessuno – rappresentanze inclusive come quella della squadra dei rifugiati o sofismi olimpici tipo la Roc, che sarebbe la Russia che sfila senza bandiera. Così fra abiti tradizionali, tute disegnate da stilisti, atleti che sono venuti com’erano vestiti a caso da casa, l’Imperatore Naruhito isolato in tribuna simboleggiava la solitudine dei numeri primi in periodo di pandemia. Che le Olimpiadi abbiano inizio.

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